Capitolo 2:

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Virginia:
Secondo giorno di lavoro in questa casa.
Secondo giorno in cui desidero che sia l'ultimo.
Sono appena alle 5:30 del mattino quando mi trascino giù dal letto scricchiolante.
Molto velocemente mi lavo, mi trucco quel poco che serve per rendermi presentabile e indosso la divisa.
Si tratta di un pantalone nero attillato e comodo, una maglietta a maniche corte e un grembiule del medesimo colore.
La divisa si abbina perfettamente al colore dei miei occhi e dei capelli.
Anche se non ho mai avuto modo di conoscerlo so che questa caratteristica l'ho ereditata da mio padre.
Mia madre da piccola mi raccontava spesso di lui.
Mentre ricordo quei momenti fisso il mio riflesso attraverso lo specchio per calmare i nervi, in particolar modo osservo le lentiggini che ricoprono il piccolo naso, cercando di nascondere a me stessa l'incredibile somiglianza con quel mostro.
Se mi legassi i capelli probabilmente somiglierei un po' di più a mia madre, ma per oggi decido di lasciarli morbidi sulle spalle.
Faccio un respiro profondo e indosso le scarpe da ginnastica.
Non so che cosa mi aspetti oggi ma devo ammettere che ieri è stata una giornata piena e tosta. Durante le due pause della giornata, a pranzo e a cena, Nadia mi parlava ma giurerei di non aver ascoltato una sola parola di quello che mi stava dicendo.
L'unica cosa a cui pensavo era inaugurare il nuovo letto.
Non è semplice gestire una casa così grande.
Mentre mando un messaggio di buongiorno a mia madre all'improvviso un rumore dall'altra parte della stanza mi fa sussultare.
Poi un altro ancora.
Non appena abbasso la maniglia della porta ecco che ritrovo Nadia di fronte a me, sorridente più che mai.
Sobbalzo, presa alla sprovvista.
-Cazzo! Che spavento.- Mi porto una mano sul cuore.
-Buongiorno anche a te Virginia, dormito bene?- Cinguetta con le mani sui fianchi.
Perché ho la sensazione che io e lei andremo parecchio d'accordo?
-Abbastanza, grazie.- Tralasciando il freddo che penetra in questa stanza. Solo ora comprendo il motivo per il quale hanno assegnato a me la mansarda.
Questa camera, a differenza del resto della casa, è costruita interamente con pannelli di legno. Sarebbe davvero perfetta se non fosse per la temperatura glaciale.
-Beh sei fortunata. Io mi sono dovuta subire tutta la notte le russa della cuoca e le lamentele delle altre due ragazze per il tuo arrivo.-
-Lamentele?- Inarco un sopracciglio.
-Sono solo invidiose. Niente di personale.- Scrolla le spalle annoiata.
Invidiose di me?
-Invidiose di te Virginia. Sei uno schianto di ragazza cazzo. Hanno paura di essere scartate dai figli dei signori. Da quanto ne so hanno condiviso diverse notti insieme.- Spiega.
-Fantastico. Ora si che mi hanno rovinato la giornata.- Ironizzo, ovviamente.
Non mi importa di loro.
-In qualunque caso non hanno nulla da temere.- Puntualizzo.
-Sono solo delle stronzette insicure, fanno così con tutte le nuove arrivate.-
Sorrido per l'aggettivo.
-Dai, andiamo. Abbiamo poco tempo per fare colazione prima che i signori si sveglino, la cuoca ha preparato qualche muffin in più per noi.- Il suo sguardo sincero mi colpisce.
Lei sembra una persona trasparente.
-Andiamo.- Scendiamo le scale.
Non appena varchiamo la cucina troviamo la signora Lupe alla prese con le decorazioni di una torta gigante.
Nella stanza riecheggia l'odore di vaniglia e panna montata.
-Buongiorno.- Esclamiamo io e Nadia all'unisono.
-Buongiorno.- Risponde lei concentrata, senza voltarsi.
Si tratta di una donna sulla sessantina d'anni.
Alla disperata ricerca di un muffin da addentare noto anche la presenza delle due ragazze di cui stavamo parlando poco fa.
Se ne stanno in disparte, poggiate contro il muro della cucina a fissarmi in modo strano.
Le rivolgo un'occhiata maligna.
-Lasciale perdere.- La mano di Nadia mi trascina intorno al tavolo.
-Simpatiche..- I miei denti stridono dalla voglia di romperle in testa una mazza da baseball.
Tuttavia fingo disinteresse perché è meglio cosi. Sono arrivata in questa casa da poche ore, devo tenermi alla larga dai guai.
Io e Nadia nel frattempo cominciamo a chiacchierare del più e del meno. Proviamo a conoscerci e ci beiamo di questi dieci minuti di pace prima della tempesta.
Ha ventitré anni ma devo ammettere che la sua maturità impressionante la fa sembrare più grande d'età.
Mi racconta delle sue origini e delle sue passioni. A malincuore scopro che il suo passato non è poi così diverso dal mio.
Viviamo tutti lo stesso schifo.
Nadia proviene da una famiglia numerosa ed è la maggiore dei fratelli, il perno della famiglia.
I suoi occhi verdi diventano lucidi al racconto della perdita dei suoi genitori.
Ora che ci penso, nessuna ragazza della nostra età lavorerebbe 24 h su 24 al giorno per una famiglia del genere se non si trovasse con le chiappe a terra.
Le rivolgo uno sguardo di conforto prima di dirigerci verso la sala da pranzo, per apparecchiare la stanza per la colazione dei capi.
Dopo cinque minuti la signora Samanta fa irruzione in sala per darci nuove direttive.
Credo che nella sua testa sia uno schema studiato.
Le due ragazze serviranno la colazione, Nadia si occuperà di sistemare il piano terra e a me toccherà il secondo piano.
Potrei fingere che non me ne importi niente invece guardo le due ragazzine ribollire dentro e mi batto il cinque da sola.
-Virginia, ci siamo già intese giusto?- Domanda Samanta fissandomi come se potesse comunicarmi le sue intenzioni con un solo sguardo.
Torno con i piedi per terra.
Sto per addentrarmi nelle camere dei suoi figli.
Per una frazione di secondo mi sale l'ansia all'idea di dover ficcare il naso in ambienti così personali, che non mi riguardano.
Ma annuisco.
-Giusto per rinfrescarvi la mente.. i miei figli e mio marito sono la cosa più cara che ho, perciò sappiate che se i vostri teneri occhietti finiranno su di loro anche solo per sbaglio non impiegherò un secondo di più a licenziarvi.- Ora si rivolge a tutte noi.
-Certo signora.- Annuiscono seriamente.
-Bene. Al lavoro.- Con il suo battito di mani ognuna di noi è già dove dovrebbe essere.
Per un momento credo di essermi persa mentre percorro le scale del secondo piano. Questa casa mi confonde, è enorme maledizione.
Fingo di essere tranquilla e prima di iniziare con le pulizie allaccio i capelli con un mollettone.
Dunque parto dal corridoio, spolverando e lavando a fondo fino a sentire le mani bollenti per la quantità di volte in cui lavo e strizzo lo straccio. Poi procedo con i due bagni. Di tanto in tanto mi soffermo ad osservare i profumi di marca e i vari prodotti da uomo.
Spolvero le persiane della finestra fino a quando non mi capita di lanciare un'occhiata al giardino.
Noto di sfuggita le guardie che si occupano della sicurezza di questa villa, parlare con due ragazzi voltati di spalle.
Allora mi affaccio, curiosa.
I due sembrano alti, mi pare di riconoscerli ma non riesco a vedere un granché da qua sopra.
Ma di una cosa sono certa, si atteggiano come miliardari quando in realtà sappiamo tutti a cosa è dovuta la loro fortuna.
Una completa contraddizione con le persone che sono.
Sono i figli di Samanta.
Anche mio padre frequentava questa gente, e ogni volta che questi tizi loschi erano nei paraggi diceva mia madre didarsela a gambe.
Fortunatamente non ero ancora nata.
Curiosa, rimango per qualche secondo ad osservali nei loro completi eleganti fino a quando una delle sentinelle, che scopro solo adesso essere armata, fa presente ai due ragazzi la mia figura alla finestra.
Entrambe si voltano verso di me. E uno sguardo oscuro mi trova in pochi istanti.
Cazzo!
Uno dei due, quello con le mani nelle tasche dei pantaloni, mi becca in flagrante seguito dall'altro tizio.
Il cuore mi vibra e subito mi ritraggo dalla finestra con una mano sul petto.
Istintivamente corro fuori dal bagno.
Attraverso il corridoio quasi come se fossi ubriaca per poi poggiarmi contro la ringhiera del piano.
Sono loro.
Ho riconosciuto i loro volti dalle foto che circolano sul web.
Maledizione, ma quanto sono inquietanti?
Mi sposto goffamente con il carrello delle pulizie per scacciare il pensiero.
Dopo un paio di secondi in cui mi guardo le spalle per rassicurarmi di essere sola mi addentro nella prima camera, la quale scopro essere meravigliosamente gigante.
E rimango di sasso.
Le pareti sono dipinte di un blu scuro, abbellite da quadri e mensole moderne così come il letto e il resto dei mobili.
Le piastrelle sotto i piedi brillano e quasi mi ci posso specchiare. La domanda che mi porgo è perché pulire quando le stanze sono immacolate?
In ogni caso questa camera da letto mi ricorda un po' lo stile americano dei film, soprattutto il pouf rosso e i trofei sulle mensole di non so quale gara vinta. Di chiunque essa sia, è molto bella.
Ma non mi soffermo particolarmente per questioni di tempo.
Prendo il carrello delle pulizie e proseguo con la seconda camera.
Non appena apro la porta i miei occhi vagano subito per l'immensa stanza, come se dovessi imprimerla nella mente.
Parliamo di una camera elegante sui toni del grigio.
Ma la particolarità è in assoluto la tecnologia. Mi riferisco ai quattro computer sulla scrivania, alle telecamere disposte in ogni angolo della stanza e al televisore di ultima generazione appeso alla parete nera.
Originale.
Non voglio impicciarmi ma sono sicura che si tratti di lavoro, tutta questa attrezzatura non può essere soltanto un hobby. Dovrò scoprirlo da sola.
Sono tentata di farmi i fattacci loro. Potrei accendere il computer e dare un'occhiata.
E' di Brais questa stanza. Leggo il suo nome cucito su un borsone, sotto il letto.
Infilzo i denti nel labbro.
Non posso. Non è corretto. E non sono affari miei.
Mi lascio alle spalle anche questa stanza prima di combinare un pasticcio.
Accidenti, sono esausta. Per quale motivo questa villa non poteva essere un appartamento?
Quando provo ad aprire l'ultima porta del piano trovo la serratura bloccata. Provo e riprovo più volte ad abbassare la maniglia ma niente da fare.
-Ma che diavolo..?- Sono assolutamente confusa.
-Ti serve qualcosa?- Una voce sensuale mi fa drizzare la schiena.
E sussulto all'improvviso.
Riesco malapena a muovermi, ma quando giro la testa di lato i miei occhi schizzano su di lui.
Accidenti.
È lui. Natal Jankovich.

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