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MANCETTA

Il bus accostò alla fermata. Quando le porte automatiche si aprirono con uno stridio, Jeff montò su. Timbrò il biglietto nell'obliteratrice e si guardò intorno. Il veicolo, a quell'ora della mattina, brulicava di gente.

Posò gli occhi su un signore in giacca e cravatta che controllava l'ora su un Audemars Piguet in acciaio. "Tanti di loro staranno andando a lavoro, proprio come me."

Una persona in particolare attirò la sua attenzione.

"Ma quello è..."

James, con lo zainetto sulle spalle, si sosteneva a una sbarra di metallo e osservava fuori, pensieroso.

Jeff aspettò prima di farsi notare. Sarebbe stato felice di vederlo? Dalla festa dell'istituto James aveva interrotto improvvisamente i contatti con lui ed era sparito.

Lo puntò, deciso. Se James aveva qualche problema, doveva essere chiaro e parlargliene.

«Ei, James.»

Il suo amico spostò lo sguardo nella sua direzione.

«Jeff!», esclamò sorridendo bonariamente.

A Jeff sembrò che non fosse dispiaciuto di rivederlo. «Beh, come va? È da un po' che non ti fai vivo...»

James, a quelle parole, fu come distogliersi dalla matassa di pensieri che fino a lì lo avevano tenuto assorto e separato dall'ambiente circostante. Le pupille dilatate si impuntarono su di lui. «Tutto ok. Sono molto indaffarato ultimamente, scusami se mi son dimenticato di dirtelo.»

Jeff si grattò la testa. Cosa stava facendo di così pesante da impedirgli addirittura di far giungere sue notizie? Si era forse trovato un lavoro a tempo pieno?

Il suo amico continuò, con tono serio: «Mark mi ha assunto, diciamo, ehm, per fare delle commissioni a suo conto, collegate all'impiego dei suoi genitori. Mi tengono molto occupato e, sai, in ogni momento del giorno posso essere chiamato».

La risposta non era convincente e James esitava. Non era stato sincero fino in fondo. "Forse però sto solo sospettando inutilmente", si disse Jeff.

«Capito. Certo che potevi almeno chiamarmi, nel tempo libero...», gli appuntò.

James tirò su col naso. Le sue narici erano arrossate e un po' gonfie. «Hai ragione, ma il lavoro mi ha distratto da tutto il resto.» Fece una pausa, prima di ripartire con foga. «Però, cazzo, ci sono! Eccomi, non sarei sparito per sempre. Son contento di vederti», disse tutto d'un fiato, tirandogli una pacca sulla spalla. Il bus si fermò ad uno stop, poi riprese la sua arrancante corsa.

Jeff era stranito da quell'atteggiamento, così mutevole, e dai suoi imprevedibili cambi di umore.

James cambiò discorso frettolosamente: «Tu invece dove stai andando?»

«Lavoro la mattina in un negozio di dolciumi.»

James gli schioccò un cinque. «Fai bene a metterti dei soldi da parte!»

«Già...» Una sottile barriera di distanza si era interposta fra loro. Jeff si impegnò per scavalcarla. «Allora, nei prossimi giorni quando riesci ci becchiamo?»

«Ok, va bene. Ti faccio sapere quando mi libero.» James prese il portafoglio dalla tasca ed estrasse una banconota da dieci dollari. «Questa è per te, comprati un gelato.» Gliela depose in mano.

Mai era successo prima di allora che James gli regalasse dei soldi. Era un gesto davvero bizzarro. Voleva sdebitarsi della sua assenza e riappacificarsi con una semplice mancetta? Jeff arrivò alla conclusione che per lui non costituisse un problema dar via così a cuor leggero del denaro.

"Quanto guadagnerà?"

Ci ripensò una volta varcata la soglia del negozio di caramelle. James cosa faceva esattamente per intascarsi quei soldi?

O INSIEME O CONTRO

Il campanello squillò.

Mark abbandonò controvoglia la tazza di latte e cereali sul tavolo della cucina e si diresse verso l'uscio. Chi poteva essere a quell'ora? Un guizzo lampante gli frizzò in testa. Se al di là della porta c'era la persona che riteneva più probabile, i minuti successivi sarebbero stati a dir poco turbolenti. Aprì la porta, senza forzare l'azione, e si espose al tiepido vento mattutino. Di fronte a lui c'era Jennifer, cupa in viso.

"Ora sì che c'è da preoccuparsi", si disse.

Lei gli rifilò un'occhiataccia di disprezzo, di odio.

«Ciao Mark», esordì. La sua serietà era anomala, e lui se ne immaginava il motivo.

«Ciao, amore», rispose, cercando di mantenere un atteggiamento calmo e cordiale. Fece caso a due grossi lividi sul braccio della sua ragazza. Qualcuno l'aveva picchiata?

«Da oggi in avanti non chiamarmi più amore... figlio di puttana!», esclamò Jennifer sprezzante. Mark rimase di sasso, sconquassato fin nelle viscere.

«J-jennifer, è stato solo ferito... e manco volevo colpirlo», provò a giustificarsi.

Lei gli diede una spinta. «Mi fai schifo, Mark. Tu hai provato ad uccidere mio fratello, senza interessarti a me e fregandotene di cosa ti avevo pregato di non fare!»

«È stato uno scontro a fuoco, e sai che ci vuole poco a finire in mezzo a una sparatoria... Jacob non era il bersaglio.»

«Quante balle che racconti, sei un falso.» Sibilò. «Mi avevi detto che mio fratello non sarebbe andato incontro a ripercussioni, ma mi hai mentito spudoratamente.»

"Può andare a farsi fottere", pensò d'istinto Mark. Se Jennifer voleva che si pentisse, poteva star certa che non l'avrebbe fatto. Lucas era troppo importante per lui per far sì che il misfatto di Jacob restasse impunito. Se lei non lo voleva capire, poteva pure andarsene. "Deve scegliere da che parte stare, una volta per tutte."

Le parlò: «Ok, hai ragione. Ti ho mentito quella sera, ma non avrei potuto fare diversamente. Se ti avessi detto ciò che stavamo architettando, saresti andata a spiattellarlo a Jacob. Conosco il vostro legame...» Mark si chiuse a riccio, preparandosi a una reazione burrascosa.

«Mi prendi per il culo?! Mi pare normale tenerci particolarmente a un proprio familiare... tu mi hai pugnalato alle spalle». Jennifer arricciò il naso e controbatté: «Rimarrà con un braccio fuori uso, Mark...»

Jacob se l'era meritato, pensò sotto sotto. «Quelle botte sul braccio te le ha causate lui? Per farti intendere di chiudere con me?»

Lei distolse lo sguardo ed evitò di rispondere.

"Squilibrato del cazzo, ama tanto sua sorella e poi le mette le mani addosso", pensò schifato.

Jennifer non parlava, sfuggendo ai suoi occhi indagatori.

Mark si fece avanti, scandendo bene le parole: «Ascolta... tutto questo non può continuare, penso te ne sia resa conto anche tu». Fece una pausa, prima di porle la questione cruciale. «È arrivato il momento che tu decida sotto che ala stare: o me o tuo fratello. Vedendo gli sviluppi, è inevitabile che una porta debba chiudersi. Sarà cinico, ma d'ora in avanti o insieme o contro.» Pronunciò quelle parole con forza, senza titubare.

Jennifer lo guardò male. «Mi dispiace che sia andata così, ma forse era tutto già scritto fin dall'inizio. La nostra relazione era destinata a naufragare, e metterci continue pezze ha solo rallentato un esito prevedibile...»

Era tutto chiaro adesso. Preferiva stare al fianco del fratello. Tra loro era finita.

Jennifer girò i tacchi e se ne andò, lasciandolo impietrito alla soglia di casa.

Mark sbuffò, sconfitto. Aveva perso la sua donna. Gli ritornò in mente un aspetto che spesso gli veniva ricordato, ma che si era sempre rifiutato di accogliere: la vita di strada ostacola i rapporti umani e si scontra implacabilmente con la dimensione degli affetti. "Qui da noi l'amore non è permesso, non in questo ambiente", si convinse.

Ritornò freddo e razionale. Doveva andare avanti. Reagì sdegnoso. "Addio Jennifer, torna da quella carogna di tuo fratello."

Summer '98Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora