Freak

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Erano passati otto anni. Otto lunghissimi anni da quel giorno. Lo ricordava come se fosse ieri.

Sentiva il buio, lo percepiva e poi boom, si ritrovava tra le braccia di perfetti sconosciuti, che cercavano di interagire, di parlare, di capire chi fosse e da dove venisse. Ma lui non riusciva, li guardava immobile, lì fissava. Non capiva che cosa volessero da lui. Le domande, le attenzioni, creavano disagio, un qualcosa che in lui suscitavano soltanto malessere. L'unica cosa piacevole che ricordava era il caldo abbraccio dell'uomo che lo aveva prima trovato e che poi si sarebbe preso cura di lui. Un uomo burbero e singolare ma che avrebbe imparato a conoscere come le sue tasche. Una persona per cui avrebbe dato tutto, l'unico in quel marasma generale che avrebbe meritato la sua incommensurabile fiducia.

Per non dimenticare mai quel giorno portava un promemoria, un qualcosa che non l'avrebbe abbandonato mai. Una cicatrice sul petto, ad altezza del cuore. Lunga, brutta, che lo portava ad immaginare un passato di cui non ricordava nulla. Quando lo trovarono fu il suo segno distintivo e lui ne fece un vanto. Non mancava occasione dove lui non mettesse in mostra quella cicatrice, dalle scazzottate alla semplice uscita mondana. Era facilmente riconoscibile, portava i capelli rasati, occhi blu cobalto ed oltretutto amava gli sguardi degli altri. La paura ed il disprezzo che potevano celare, ma soprattutto la voglia di confrontarsi con chiunque gli si presentasse davanti.

Ed era esattamente successo questo, per l'ennesima volta. Aveva vinto, quindici modium, un lavoro semplice. È bastato un niente, uno sguardo, una parola di troppo e subito uscirono tutti di corsa dal locale per vedere per l'ennesima volta Spike fare a botte con un omuncolo in preda all'alcool. Quanto amava quella sensazione.

La serata era appena iniziata, decise di rientrare nel locale con un sorriso a trentadue denti. Il posto era pieno di gente, la musica tecno sfondava le casse, le luci stroboscopiche erano accecanti ed ammalianti, attraevano chiunque alla danza, che fossero presi dai fiumi dell'alcool o da qualche altro tipo di sostanza. Si fece largo all'interno della sala,  conosceva a memoria il locale, sapeva che il bancone si trovava esattamente al lato opposto all'ingresso, doveva semplicemente sgomitare con i ragazzetti e con i dopolavoro accorsi li per godersi una serata. Trovò posto al centro del bancone e si sedette tutto tronfio. Esclamò: <<Serena, ho battuto anche questo, non sei fiera di me!!!>>. Serena lo guardò con aria impassibile, aveva quell'espressione che la contraddistingueva. Era un mix tra il nervoso dettato dal servire quei balordi che non portavano rispetto per nulla e nessuno e di scoraggiamento dettato dall'irruenza e dai modi di fare di Spike. Lei lo conosceva bene del resto, era stata tra i primi ragazzi del quartiere ad avvicinarsi a lui, aveva soltanto quattro anni in più di lui, ma vedere quel bimbetto rasato tutto solo che li fissava giocare con quei suoi occhi blu aveva creato in lei una curiosità che la porta a stringere un'amicizia durante e salda che difficilmente si sarebbe potuta spezzare. Soltanto che lei adesso doveva aiutare a casa, quindi dietro consiglio e raccomandazione  dei suoi genitori trovò lavoro presso la Daft House, una discoteca che pagava bene nel quartiere Toward. Non era un lavoro ricercatissimo, anzi, doveva sottostare alle angherie ed alle avances  del suo superiore Edward, ma sapeva benissimo difendersi. Del resto come poteva non piacere una delle ragazze più belle della zona, con i suoi modi di fare e la sua genuinità che la contraddistinguevano. Aiutava tutti ed era sempre in prima linea qualora nella sua comunità ci fossero delle difficoltà. Non mancava mai in termine di sacrificio e di spirito di iniziativa. E poi parliamoci seriamente, era di una bellezza da lasciare chiunque a bocca aperta. Aveva degli occhi neri come la pece, come la notte, tutti sapevano che chi si fosse perso in quegli occhi non ne sarebbe mai uscito. Chiedere al povero Gil, che per anni gli fece la corte venendo snobbato in qualsiasi occasione. Una chiacchiera di quartiere afferma che qualcuno una sera lo vide piangere e singhiozzare mentre tornava a casa con un mazzo di rose in mano. Portava i capelli color corvino fino alle spalle, che lei amava raccogliere in una treccia con un nastro regalatogli dalla madre, morta quando aveva sedici anni. In suo onore aveva deciso di tatuarsi su tutto il braccio sinistro una mamma che allattava il suo piccolo per terminare poi sulla mano con una rosa tatuata sul dorso. In virtù della sua giovane età aveva un seno sodo, che faceva invidia a moltissime ragazze fin dalla più tenera età. Non amava metterlo in mostra ma sapeva quanto efficace fosse utilizzarlo come arma durante il suo lavoro, non amava certamente farlo ma riuscì dopo un po' di tempo ad apprezzare pregi e difetti della Daft House. Era impenetrabile, mai un uomo aveva osato sfiorarla. Veniva da una famiglia tradizionale e memore dell'amore che c'era tra i suoi genitori, aveva promesso sul letto di morte della madre di concedersi soltanto all'amore della sua vita, uomo o donna che sia.

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