Capitolo 8

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- Tra sguardi di fuoco e frigoriferi -

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«Non so, potevi proporgli di venire direttamente ad abitare sul divano o nel letto.» mi disse, gettandomi un'occhiata da sopra la spalla.

«Perché, ti dà fastidio?» ribattei, riservandogli un'occhiata di puro divertimento.

Era lui che aveva voluto iniziare a giocare, ora ne avrebbe pagato lo scotto. Mina e Kirishima se ne stavano in bagno da mezz'ora, e a giudicare dai rumori che provenivano - oltre lo scrosciare della doccia - ci sarebbero rimasti per un altro po’. La cosa non mi turbava granché, ero molto più impegnato a fare di ogni cosa turbasse Katsuki, il mio passatempo preferito.

Ero perfino arrivato a smettere di pensare a Shoto, alla fotografia. Giusto qualche minuto, poi il dolore era tornato prepotente e ruvido, come un martello che batteva sulle costole, vicino al cuore. Non ero preoccupato di ciò che poteva dire la gente, - me n'era sempre fregato poco o nulla - ma per noi. Per la nostra storia, per Thena, la nostra gatta, per mia madre. Cosa avrebbe pensato di quei pettegolezzi? Della foto? Non riuscivo a trattenere il mio nervosismo e quando Katsuki mi aveva riversato il suo addosso, avevo finito per perdere il controllo e fare lo stesso. Ma con più irruenza, con più rabbia, con più necessità. Perché dovevo dimostrare a lui, - ma soprattutto a me - che non mi importava quanto potesse mostrarsi diverso, io lo avrei comunque raggiunto. Volevo riavere il Katsuki che mi aveva pregato di tornare alla Yuei, il ragazzo che mi aspettava sotto casa con le photocards di All Might strette nel pugno. Era sciocco, da parte mia, desiderare che lui si rendesse conto del baratro nel quale Shoto mi aveva fatto ripiombare?

Non riuscii a far altro che sostenere il suo sguardo, con più forza di quanta ne fosse necessaria.

Lui, che teneva il coperchio in mano, lo posò sul bancone e mi si avvicinò. Non mi staccava gli occhi di dosso e non parlò fino a quando non fu a un centimetro dal mio naso. Sentivo la sua presenza addosso come quella di un cavaliere gigante. Al suo cospetto mi sentii piccolo piccolo, come lo ero prima della Yuei, dei premi, di Shoto.

Lo guardai, non ebbi la forza di respingerlo né lui di mostrarsi cattivo, velenoso, come sapeva esserlo quando voleva.

«Sai cosa mi dà fastidio?» chiese, intrappolandomi tra il frigo - la mia schiena venne pressata contro le calamite appese allo sportello del freezer - e il suo corpo. Poggiò un palmo a qualche centimetro dal mio volto. Parlò con quella sua voce bassa, roca, vibrante. «Mi dà fastidio che nonostante io mi sforzi di essere cordiale con te, - gentile - tu non fai altro che cercare sempre il modo di farmi saltare i nervi. Dimmi, Izuku, cosa cazzo vuoi da me?»

«I-io…»

Le labbra mi si erano schiuse da sole, ma non riuscivo a far altro se non biascicare. Mi guardai attorno, ma oltre Katsuki non avevo nulla attorno. La sua grossa stazza mi impediva di pensare ad altro. C'erano solo le sue spalle, larghe e infinite come i rami di un albero, i  consistenti bicipiti bianchi, i denti perfetti.

«Tu cosa? Perché perdi sempre le parole, Nerd?» sentii il suo respiro infrangersi sulle mie labbra, il mio cuore scalpitò in petto, cercava il modo di risalirmi fino alla gola. Deglutii, nella speranza di rimandarlo giù. «Perché permetti agli altri di trattarti in questo modo?» continuò, ma stavolta qualcosa nel suo tono era cambiato, qualcosa mi premeva addosso all'altezza del petto e aspettava di venire fuori.

«Che intendi?» farfugliai.
Stavo cercando di usare il mio tono più severo, quello più sicuro, ma tutto ciò che riuscii ad ottenere fu un lastrico incerto.

Mission, BakudekuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora