Prologo

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Ho sempre visto Kacchan come un prolungamento di me, della mia infanzia. Lui era lì quando inseguivo i miei sogni, quando piangevo nascosto agli occhi di tutti, quando mio padre se ne andò.

Kacchan c'era sempre. Diceva di odiarmi, diceva che non voleva altro che io sparissi, che il suo più grande desiderio era vedermi morto, eppure, era sempre lì quando cadevo. Perfino il giorno in cui mi sbucciai il ginocchio cadendo dallo scivolo, e piansi, aggrappato alla sua maglietta con il disegno plasticato di All Might, perfino quando mia madre finì in ospedale per quel maledetto desiderio egoistico di mettere fine al suo dolore, - non so quanto definirlo egoistico, perché se io mi fossi trovato al suo posto, non so come avrei potuto reagire - e mi stringeva la spalla con quel suo palmo bollente. Perfino quando ricevetti quella chiamata e il mio mondo si frantumò, quando crollai in ginocchio e chiesi come, quando, perché, balbettando e sputacchiando fuori saliva e lacrime, lui era lì. Mi guardava da vicino alla finestra, con le braccia strette al petto e il volto corrucciato. Come se capisse. Kacchan era lì, sempre. In quell'angolino, nascosto da tutti, ma non da me.

Ogni volta che mi voltavo, lui era lì. Mi guardava, mi aspettava, correva. Ha sempre voluto essere inseguito, ed io, - non lo dico per biasimarmi - non sono mai stato capace a dirgli di no. Non sono mai stato capace di negargli qualcosa, specie se potevo dargliela.

Forse è soprattutto per questo se ancora oggi quando penso a lui, non posso fare a meno di sentire quella scarica d'adrenalina, il nastro che ci lega l'uno all'altro e ci sprona a fare di più, a dare di più se c'è l'altro in ballo.

Katsuki è sempre stato il mio punto debole. Lo era quando eravamo bambini e lo è ancora adesso, lo era perfino allora. Allora, quando nonostante gli anni passati ad allenarmi, le battaglie vinte e i premi ricevuti, l'unica cosa che continuavo a desiderare era ritrovare quello sguardo. Quello che mi lanciava solo lui. Prima di ogni scontro, di ogni verifica, di ogni lavoro. Nessuno mi aveva più guardato come mi guardava lui ed io, ci soffrivo immensamente.

Non sapevo perché, ma Katsuki era per me quanto più io avessi mai provato in vita mia. Era stato l'inizio dei miei sogni, e la fine. I suoi occhi rossi perseguitavano le mie notti insonni, facevano si che restassi senza respiro, mi facevano strozzare con il Katsudon.

Eppure, non avrei mai dovuto pensarlo. Non da quando avevo finito la scuola e lui per me non era altro che un compagno, un ex compagno di classe. Katsuki Bakugo non avrebbe dovuto infestare la mia mente, non avrebbe dovuto essere il primo e l'ultimo pensiero che avevo prima di aprire e chiudere gli occhi, non avrebbe dovuto affatto essere presente nella mia dolce, brillante, splendida nuova vita. Eppure, c'era.

Ed io non facevo che scorticarmi dentro ogni volta che qualcuno faceva il suo nome, ogni volta che guardavo negli occhi il mio fidanzato. Il mio splendido, prezioso, fidanzatino.

Ero orgoglioso di lui, ero felice di trovarlo a casa quando tornavo da lavoro, ero straordinariamente grato di averlo con me quando i miei mostri tornavano, ma tutto quello, sembrava non bastare. Shoto Todoroki, sembrava non essere abbastanza per me e così chiunque altro avessi provato ad amare. Nessuno riusciva mai ad interporsi nella parete più profonda del mio cuore, tra le schegge e i resti della mia infanzia.

Nessuno era Katsuki. E lo sapevo. Lo sapevo fin troppo bene.

Solo, che svegliarsi una mattina e scoprire che avrei dovuto condividere una casa con lui, un letto con lui, due maledetti interi mesi con lui, mi faceva ruzzolare il cuore sino in pancia e buttava all'aria anni interi dei miei piani.

Mission, BakudekuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora