capitolo quattro

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Sophie ha insistito affinchè andassimo nel luogo detto dallo sconosciuto in chiamata. Ora inizio a capire perchè suo fratello dice che le piace infilarsi nei guai. Io non avrei mai accettato, ma non sono stata messa davanti ad una scelta. Sono praticamente stata trascinata fino ad una stradina della periferia di New York, un ambiente che mi ricorda la mia vita dopo la morte di mia madre.

Mi stringo nel maglione di cashmere che indosso. Una brezza gelida mi entra nelle ossa e mi fa rabbrividire. Un braccio circonda le mie spalle, trascinandomi verso di lui. Kaden, ovviamente. Deve aver calcolato male il movimento, perchè inciampo e se non fosse per Josh, mi sarei trovata con il naso per terra. Guardo male il moro, che alza le spalle in segno di innocenza. Vorrei alzare gli occhi al cielo, ma mi ricordo il commento di ieri e rabbrividisco per un motivo ben diverso dal freddo. 

Man mano che proseguiamo, la strada di sassi continua a stringersi verso un bosco sempre più fitto. "Siamo sicuri che è la strada giusta?" Chiedo a Sophie, che indossa un giubbotto enorme che la ricopre da cima a fondo. Vorrei poterlo avere anch'io. Fa un po' di fatica a far uscire le mani dalle maniche decisamente troppo lunghe, ma riesce a tirare fuori il cellullare per controllare il navigatore. Annuisce. I rumori della notte che ci circondano continuano a farmi prendere dei mini infarti, e l'unico che non sembra essere spaventato è Kaden. Perfino la castana si guarda attorno con gli occhi spalancati. "Okay, ripetetemi perchè stiamo facendo questa cosa di notte?" Chiede Josh.

"Perchè è super divertente!" Esclama a voce alta il moro. Devo trattenermi dal dargli un cazzotto in faccia. Saltella qua e la come una capretta e mi irrita che sia così calmo. Stiamo andando in una zona malfamata di New York, che è particolarmente famosa per i crimini e l'illegalità, e si comporta come se fosse un gioco.
Non saremo dovuti essere qua in primo luogo.
Per non parlare del fatto che questo ragazzo qua è Kaden Satō, il bad boy della scuola e il capitano della squadra di football. Ho sbagliato a compararlo a July. Non è nemmeno un pezzo di suola della scarpa della mia compagna di stanza questo svampito. Sophie sospira pesantemente, una nuvoletta bianca si dirada nell'aria ad ogni respiro. "Come capiamo che siamo arrivati?" Mi chiede, ma io non ho una risposta. Non ricordo nemmeno come appariva il terreno nel sito. 

Da un certo verso, sono convinta che sia uno scherzo di cattivo gusto dai ragazzetti che si divertivano a prendermi in giro anni fa. Non so perchè dovrebbero trovarsi qui, o cercarmi dopo tutto questo tempo. Ma è l'opzione che mi rende più tranquilla. "Torniamo indietro." Ordino dopo circa un altro chilometro. La strada sterrata si è trasmormata in un sentiero tra alberi e abitazioni abbandonate, e non mi sembra un buon segno. "Ma io mi stavo divertendo." Piagnucola Kaden, sembra proprio un bimbo cappriccioso. Ci siamo tutti fermati, tranne lui, che continua a saltellare come se non si fosse reso conto che nessuno ha intenzione di avanzare. "Kay." Lo richiama Josh con il tono più autoritario che gli abbia mai sentito. Il moro sembra risvegliarsi da qualsiasi pisolino mentale stesse facendo, perchè si guarda attorno con un espressione intimorita. Inutile dire che è l'unico senza torcia. Non ha nemmeno un cellulare, dato che si è scaricato a metà percorso e alle nostre accuse di non essersi preparato ha risposto "avevo di meglio da fare" con il solito sorriso accompagnato da un occhiolino. Corre verso di noi e si aggrappa a Sophie, che viene sorretta da Josh per non cadere. Lo sento mormorare qualche insulto sotto i denti, e per quanto paura e freddo me lo permettano, ridacchio. 

Il ritorno procede liscio come l'andata. Dobbiamo percorrere altri cinque chilometri in questa zona disgustosa per poi sbucare in una stazione della metropolitana che ci porterà nuovamente in college. Già mi pregusto la doccia bollente che mi farò e le coperte calde che mi avvolgeranno il corpo. 

Un fruscio particolarmente rumoroso ci fa voltare verso sinistra, per poi realizzare che era solo lo stesso vento che ci congela gli arti che fa smuovere i rami. Almeno, questo è ciò che gli altri realizzano. Io continuo a fissare da quel lato, e nel buio scorgo due occhi glaciali che mi fissano. Ogni singolo muscolo del mio corpo si blocca e rimango a bocca aperta. Non so se dovrei mettermi a piangere, a gridare o a ridere, perchè sono sull'orlo di una cazzo di crisi. Il professor Hawkins è qui. Non è possibile. Non è matematicamente possibile che lui sia qui. Non esistono coincidenze di questo tipo.

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