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Luke si svegliò di soprassalto, tutto sudato. Aveva fatto di nuovo lo stesso, terribile, incubo: i Controllori scoprivano il suo segreto, ma invece di ucciderlo, uccidevano James e un paio di ragazzi innocenti dal volto anonimo.
Si passò la mano sui capelli biondi, ancora incollati in fronte. La sera prima aveva davvero temuto il peggio quando la Controllore si era presentata sulla porta di casa e lui aveva fatto cadere la sua decima lente, ma per fortuna era riuscito a trovarla e a recuperarla in poco meno di un minuto. Leyla, la Controllore, l'aveva guardato male - con uno sguardo strano, quasi schifato - quando era uscito dalla camera inventandosi una scusa per i minuti di ritardo. La Controllore voleva sapere se doveva lavorare anche il giorno dopo, perché "i signori Yagari sono cortesemente invitati a conoscere le future mogli domani, in Piazza Gelsomini."
Luke e James lavoravano in prova - erano degli stage a cui i ragazzi prossimi ai sedici anni dovevano partecipare, per farsi un'idea di tutti i vari e possibili impieghi che avrebbero fatto da adulti - , il primo nel reparto di architettura, il secondo in quello di medicina. Effettivamente dovevano lavorare, ma non si poteva dire di no ai Controllori.
"Ne saremo onorati." - rispose James, con il suo finto sorriso stampato in faccia.
Luke non aveva mai pensato seriamente a questa storia del matrimonio. In effetti, lui credeva nell'amore come la gente credeva nel mare: una stupida leggenda, passata pure di moda. I libri che leggeva parlavano in modo affascinate di entrambe le cose, ma lui escludeva proprio il fatto che potesse innamorarsi. Come avrebbe fatto con il suo occhio ? Avrebbe mentito per il resto della sua vita ? E avrebbe fatto lo stesso con i suoi sette figli ?
I Controllori erano fissati con il sette, essendo esso il numero di Dio. Ogni coppia doveva fare sette figli, né uno in più né uno in meno. Luke aveva molte cose in comune con quel numero ...
Andò a vestirsi dopo essersi fatto una doccia fredda. Prese la confezione delle lenti a contatto, arrivata quella mattina. Doveva ringraziare James per averle ordinate. Doveva ancora capire come il fratello potesse procurarsele in così poco tempo, ma aveva deciso che era meglio non fare domande.
Si guardò allo specchio. Aveva un occhio azzurro, con la zona più vicina alla pupilla di un giallo dorato, e l'altro occhio era nero come la pece, con una macchia verde chiaro nell'estremità destra dell'iride. In uno dei libri della biblioteca lasciata dal padre si parlava di una leggenda di quelle persone così, con gli occhi diversi, ma lui aveva paura di cosa poteva scoprire, e l'aveva nascosto nel ripiano più buio degli scaffali. Era sempre stato così, titubante è insicuro verso il futuro. Non amava mettersi in gioco, preferiva lasciare il lavoro agli altri, mentre lui si dedicava a cose più importanti, come il disegnare. Non pensava mai al futuro, voleva viversi il presente.
James si era alzato, e ora stavano facendo colazione. In realtà non aveva per niente voglia di andare a conoscere ragazze truccatissime e con vestiti che lasciavano vedere fin troppo. Molto spesso erano i ragazzi pervertiti che si sposavano, mentre gli altri erano incerti. A casa delle ragazze arrivano delle assistenti di moda che avevano già deciso per loro il giusto vestito, trucco, acconciatura e scarpe. Era una cosa così irritante. Odiava quelli che prendevano decisioni al posto dei diretti interessati. Non potevano farsi gli affari loro ?
Sperava di tornare a casa presto, perlomeno. Salì in auto con James, e il loro autista mise in moto, diretto in Piazza Gelsomini.

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