1. I MISS YOU

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“Perché nessuna tempesta può contenere il ricordo di una singola lacrima”.

Paulina Dyron.

È un giorno bagnato, uno di quei giorni in cui la pioggia annega l’asfalto e l’erba, lascia le sue pozzanghere nei pensieri, s’insinua nell’anima, e batte lenta tra le fibre dell’essere. 

Sommerge tutto, ogni singola cosa, anche me che ho dimenticato l’ombrello a casa. Nell’aria c’è un profumo di tempesta che scalfisce il dolore e lo resuscita dalla cenere in cui l’esistenza ha tentato tante volte di seppellirlo.

La mia esistenza.

Ogni tanto riaffiora quel dolore, lo sento pungere nel petto. Un pungolo sottile, che serpeggia tra le pieghe delle mie ginocchia e risale fino allo stomaco, tamburellandomi sulla spina dorsale, macellandomi la testa, mangiando quel poco di lucidità che protesta per restare, per non essere relegata in un angolo buio della mente. Non è un dolore fisico, è il dolore della mancanza, di quella mancanza che tuona dentro come un temporale estivo e non smette neanche mentre dormo, pulsa incessantemente nel mio cervello e si arrampica proprio lì, nel nucleo di quella elettricità che smuove le corde del cuore. 

Dio quanto mi manca.

Lui mi manca più dell’aria e del sole, più della luce e del buio che ho dentro, più della vita stessa. Da anni, ormai, vago in un oblio di dolore, mi perdo nel ricordo, rinunciando al presente. Sempre più spesso mi smarrisco tra i miei pensieri, crogiolandomi nell’illusione e nell’incertezza.

Arrivo di fretta alla fermata dell’autobus, ho da poco terminato la mia mattinata di scuola, le lezioni si sono susseguite in una noiosa inerzia fino a quando è entrata in aula la professoressa di letteratura, in quel momento il mondo si è capovolto e ha ricominciato a brillare. Adoro il suo modo di insegnare i classici, il suo tentativo di farci entrare nei libri a forza, di sbatterci in faccia i sentimenti e le emozioni che solo un grande romanzo può suscitare. E io mi ci sono buttata dentro a quei libri, mi sono immersa nel cuore di quell’inchiostro nero che mi bagna l’anima, proprio come questa pioggerella fitta e sottile. Mi ci immergo fino ad affogare, fino a diventare un tutt’uno con quel mondo magico, lontano dalla realtà, lontano dalla mancanza, lontano da lui. 

Constato sollevata che il pullman non è ancora arrivato e il mio cuore fa una capriola quando vedo Carmen, la mia migliore amica.
Indossa un maglione azzurro, che cade largo sui jeans chiari e attillati, ha alzato i lunghi capelli biondi in una coda alta e scruta il mondo dietro le lenti dei suoi occhiali da vista. È sempre stata una ragazza curiosa, le piace interrogare l’esistente e cercare di comprenderlo, anche se il più delle volte ha un modo tutto suo di interpretarlo.

«Ciao!» mi saluta, stritolandomi in uno dei suoi abbracci pieni d’affetto. 

Ed è questo che adoro di lei più di ogni altra cosa, l’affetto. 
Non lo risparmia, non lo conserva avidamente per sé, lo dona a tutti con naturalezza, come se fosse la cosa più ovvia e scontata del mondo. Non è così, io lo so che non è così, l’ho scoperto troppo presto e con una ferocia da far accapponare la pelle.

Non è così.

L’amore non può essere dato a chiunque, gettato al vento come carta straccia, sventolato come un aquilone colorato sul ciglio di una montagna. L’amore va tenuto stretto nel petto, cullato e adorato come un bimbo appena nato.

Ma Carmen è diversa da me, lei riesce a donarsi senza paure e rimpianti. È il mio opposto, l’altra faccia della medaglia, quella felice, sempre allegra e solare. Io, al contrario, sono cupa e solitaria, ammantata da un’aura buia che emana inquietudine, incertezza e mancanza.
Sempre lei, la mancanza, intarsiata sul mio cammino, in attesa del mio arrivo, lì, sulla soglia della fine, con un pugnale affilato tra i denti pronto a trafiggermi senza pietà, a molestare la mia psiche, a incutere il suo terrore, che sfocia in sgomento e angoscia.
Un’angoscia incapace di acquietarsi, di zittirsi, che mi trascina nell’oscurità.

UCCIDIMI DOLCEMENTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora