CAPITOLO 5 - ESPERIENZE

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Teo non era mai stato in una cucina così in ordine e così trasandata allo stesso tempo: gli stipiti strabordavano di pentole e utensili vari ma pur sempre ognuno nel proprio ripiano di appartenenza, ordinati in base alle loro dimensioni o incastrati gli uni con gli altri. Teo non aveva mai posseduto doti culinarie quindi decise di tacere; notò con non poca sorpresa di come la cucina fosse ampia quasi quanto il salotto, aveva sempre pensato che meritasse quest’ultima il titolo di stanza più grande ma a quanto pareva quell’abitazione seguiva ragionamenti tutti suoi. Solo il tavolo occupava almeno un terzo della stanza, non era di chissà che pregiata qualità, ciononostante doveva essere stato costruito con un legno abbastanza robusto, se fosse stato altrimenti si sarebbe già rotto da tempo: Romeo fu il primo a
sedersi su una delle due sedie ma quando capì che la cena non sarebbe stata pronta a breve si alzò, aprì uno dei cassetti al di sotto del lavello, ne estrasse un lungo cucchiaio e riprese postazione; nemmeno il tempo di sedersi che aveva iniziato a sbattere ripetutamente il manico argentato sulla superficie lucida, affermando fin troppo ad alta voce “Vogliamo il cibo! Vogliamo il cibo!”.  Teo guardò attonito quel gesto burbero – nel convento dove risiedeva durante i pasti non si proferiva parola, a meno che non fossero preghiere di ringraziamente verso il Signore –
eppure, quando voltò la testa di lato, percepì nell’espressione di Christopher quasi compiacimento.
<< Va’ un po’ a riposare nella tua stanza, quando la cena sarà pronta sarai il primo a saperlo >>.
<< No, così sarà il prete ad essere il primo a venirlo a sapere e io, ingiustamente esiliato nella mia squallida cella, sarò l’ultimo >>. Quelle parole non persuasero molto il fratello, lo portarono invece a fargli scuotere il capo. << Ma Teo è qui per aiutarmi, tu invece sei qui solo per portare caos. Se proprio
vuoi sfondare qualcosa, che sia il tuo armadio e non il mio povero
tavolo >>. Romeo sbuffò ma si diresse presto verso le scale, seppur ancora con le dita avvolte intorno al cucchiaio e borbottando << Seconda scelta persino contro un pezzo di
legno >>. Teo corrucciò la fronte a quell’ultima frase, chiedendosi quale fosse il vero significato di essa.
<< Non è veramente arrabbiato, fa sempre così, è proprio un
amante del dramma >>.
<< Si, l’avevo intuito >>, si fermò un attimo prima di avvicinarsi di un passo, << stava scherzando anche quando ha detto che avrei dovuta aiutarla, vero? >>.
<< Mi dispiace deluderla ma io non sono né il servo né il cuoco di nessuno, se ha veramente fame si metta pure ai fornelli, mi pare di notare che le mani le abbia ancora ben attaccate ai polsi >>. Teo ridacchiò imbarazzato, abbassando
istintivamente lo sguardo sulle mani menzionate e iniziando a passarle sulle pieghe di una maglia che ora sembrava troppo grande per il suo corpo esile.
<< Non intendevo nulla di simile, non avrei mai potuto,
semplicemente non si può dire che io sia molto familiare con i
fornelli >>.
Christopher non dette segno di averlo sentito, non si degnò
neppure di girarsi nella sua direzione, continuò invece a ficcare
il naso in uno stipite dopo l’altro in cerca di chissà quali ingredienti. Teo non lo conosceva da molto tempo, si poteva anche dire che non lo conosceva per nulla, ma quella sua
freddezza non passava inosservata. Al contrario del fratello minore – ciarlatano, sfacciato e ribelle – lui stava per le sue, talmente stoico da essere in competizione soltanto con i Moai, le antiche e misteriose statue a forma di testa dell’Isola di Pasqua. Aveva iniziato a chiedersi se nel villaggio qualcuno conoscesse almeno il suo nome, data tutta quella riservatezza.
A Teo non erano mai piaciute le persone algide, lo facevano
sentire a disagio, non sopportava l’idea di dover parlare con
qualcuno a cui in realtà non importava niente di lui o che
qualcuno potesse giudicare e infangare gli argomenti che a lui
invece stavano a cuore. Era vero che al convento molti frati erano altrettanto chiusi in loro stessi, ma era diverso, non doveva parlar loro per forza. In quel momento, da solo con Christopher, si sentiva un soldato di guerra sul campo nemico.
Come se quest’ultimo gli avesse estratto dalla mente i pensieri
e li avesse resi suoi, quando torno alla realtà sentì che la sua voce si era fatta tenue, vellutata.
<< Nemmeno io sapevo cucinare fino a qualche anno fa. Romeo, una sua versione più piccola e cocciuta, aveva iniziato a stressare nostra madre chiedendole dei cibi nuovi, saporiti e gustosi per davvero >>, il suo viso si rabbuiò per un istante di
troppo, come se non fosse sicuro di dover continuare a parlare,come se avesse fatto male a iniziare; alla fine cedette e si concesse di proseguire, << Non volevo che credesse di non
saper come rendere felici i suoi figli, così un giorno andai da lei e le chiesi di imparmi a cucinare alcuni piatti e tra i suoi insegnamenti e qualche ricetta presa in prestito in giro per le viuzze ho accontentato Romeo. Sarei un bugiardo se dicessi che tutto ciò mi è da peso, ormai cucinare riesce persino a tranquillizzarmi >>. Non aspettò una risposta da parte dell’altro,non serviva, non era una domanda o qualcosa da mettere in
discussione, era finalmente riuscito per una volta a condividere con una persona una piccola parte di sé e stranamente percepì un moto di sollievo farsi strada verso di lui.
Poggiò sulla fiamma del fornello una pentola riempita per metà di brodo e fece cenno a Teo di avvicinarvici. Quando fu abbastanza vicino, con una mano gli porse un coltello trinciante ma vedendolo quello indietreggiò.
<< Le posso assicurare che non sono un idiota, non accoltellerei mai qualcuno in casa mia. Prenda >>, abbassò di poco il coltello e gli porse invece la mano contenente una testa di aglio.

Quando misero il tutto a cuocere erano ormai le otto di sera e lo stomaco di Teo aveva cominciato a mostrare i primi segni di disappunto sulla questione.
La cucina, prima totalmente ordinata, in quel momento avrebbe
potuto essere scambiata per un mercato alimentare: gusci di uova erano stati abbandonati nel lavello e il suo ripiano pullulava di spezie, dalla paprica dolce a quella piccante; dal tavolo si espandeva per tutto il resto della stanza l’odore
pungente dell’aglio e, affianco alle sue scorie, c’erano ancora foglie di alloro e molliche di pane.
Quando Christopher gli chiese se volesse aggiungere anche della cipolla, Teo scosse con fermezza il capo. L’unica zuppa di aglio che avesse mai mangiato era quella preparata da sua madre che, sapendo il palato delicato del figlio, la cucinava solo a base di brodo, pane tostato e aglio, aggiungendo poi un cucchiaino di zucchero per darle un sapore più leggero. Christopher, invece, sembrava amare fin troppo i sapori intensi.
Appena finì di mettere nelle tre scodelle una porzione di zuppa
e due fette di pane tostato ciascuno, incaricò Teo di andar a chiamare Romeo per riferirgli che la cena era pronta e che poteva quindi scendere. All’inizio pensò che in quel modo
avrebbe potuto placare la sua curiosità, anche se non sapeva
bene il motivo di essa ma, dopo nemmeno aver fatto un passo verso la scala a chiocciola, il ragazzino si recò in autonomia da loro; se perché aveva percepito l’odore della zuppa pronta o se perchè aveva origliato la loro ultima conversazione sarebbe
rimasto un mistero.
Si scoprì in breve che era proprio lui l’artefice dei posti a tavola
e che ovviamente il suo era quello a capotavola, con gli altri
due a suoi lati.

Per il resto della cena non parlarono molto, a quanto pareva i due fratelli arrivavano così affamati alla fine della giornata da non permettere a nessuno il lusso di interromperli durante il consumo del pasto; quella sera Teo non obiettò, anche lui
aveva troppa fame per riuscire a mandare avanti una conversazione che avesse un filo logico.

Si doveva ammettere che Christopher fosse in effetti un ottimo cuoco, conclusa la cena Teo si domandò se non avesse messo
qualche sorta di sonnifero tra una spolverata da paprica e l’altra. Fortunatamente il compito di lavapiatti spettava a Romeo e fortunatamente si sentivano da fuori ancora le grida del vento, seguite dallo scroscio della pioggia; Teo si era ormai,rassegnato all’idea di dover dormire in un’abitazione a lui estranea, cosa che lo faceva sentire non poco in ansia, eppure una parte di lui sperava che in quel modo avrebbe potuto avvicinarsi a quei due strani individui. Aveva imparato molto tempo fa che le cose non succedevano mai per caso e che era
la provvidenza divina a farle accadere per un preciso scopo,
non gli restava che sperare di aver trovato finalmente degli amici. Pensarla così lo fece rianimare, rassicurare, un poco.
Non aveva mai avuto un vero amico, rispondeva a tutti ma per poi tornare ad isolarsi di nuovo. Quindi quando Christopher gli porse una coperta per stendersi sul divano l’accettò volentieri e dopo avergli riferito che lui stesso avrebbe sistemato un cuscino e una coltre sul pavimento per non farlo rimanere solo – “Sono abbastanza sicuro sia ineducato far dormire un ospite ignoto in una stanza altrettanto sconosciuta ad egli” diceva –
quasi sorrise.
Poggiata la testa sul cuscino e chiusi gli occhi, non potè fare a meno di crogiolarsi nel ricordo dell’assurda giornata che aveva vissuto e represse il senso di colpa che provava nei confronti di Don Gregorio, chissà cosa avrebbe detto il vescovo una volta che fosse tornato al convento, visto il suo temperamento si sarebbe di sicuro arrabbiato. Teo era abbastanza sicuro che l’anziano frate avrebbe preferito che si prendesse un malanno piuttosto che disubbidire alle sue richieste, soprattutto in tempi come quelli, ma per una volta decise di non pensarci.
Nel momento in cui pensava di star per addormentarsi, gli arrivò dal basso la voce sommessa di Christopher << In cucina
è rimasta una brocca di acqua, se le dovesse venire sete non esiti ad alzarsi >>. Teo annuì, chiedendosi se l’altro l’avesse visto attraverso il buio notturno ma non fece in tempo a replicare che quello si era girato sul fianco dal lato opposto; lo stesso fece lui.

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