CAPITOLO 3 - PERCEZIONI

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Quel mattino non pioveva ma questo non impedì a Teo di sentire il sangue pulsargli nelle orecchie come il fruscio della pioggia. Non aveva mai pensato in che modo i bambini
potessero vedere un prete che predicava e insegnava nella loro
scuola, forse avrebbe dovuto iniziare a farlo.  Strano come un singolo commento possa avere un tale impatto su una persona.
Quando entrò nell’aula e sentì gli occhi dei presenti addosso stranamente gli iniziarono a sudare le mani. Scosse con fermezza il capo, come per liberare la mente da pensieri intrusivi, e concesse sia a se stesso che ai ragazzi che la preghiera giornaliera durasse qualche minuto in più del solito.

Le ore che gli alunni passavano a scuola non erano sempre le stesse: solitamente ci si trascorrevano sei ore, ma capitava spesso che la chiesa fosse troppo indaffarata e che quindi Teo dovesse rispedire tutti a casa dopo sole quattro ore di studio.
Quella fu una di quelle volte.
Dopo aver risposto ad una delle tante domande che gli poneva sempre Eleonora, sentì bussare alla porta. Prima che potesse anche solo pensare di invitare costoro ad entrare, Don Gregorio entrò spedito nella stanza, facendo sussultare Teo. << Don Gregorio, a quale onore dobbiamo la sua improvvisa
presenza? >> farfugliò quest’ultimo. L’altro non sembrò in vena di discorsi colloquiali, quindi lo prese da una manica della tunica e lo trascinò fuori socchiudendo la porta senza troppi riguardi. << Altre cinquanta morti in soli tre giorni, se continua così avremo il cimitero strabuzzante di cadaveri entro gennaio >>. Non aspettò una risposta, soppesò invece il suo orologio da taschino nel palmo della mano e lo fece scattare. Lo contemplò per qualche secondo prima di riporlo nuovamente al suo posto. << Oggi le cerimonie funebri inizieranno prima, fossi in te chiuderei già ora e mi andrei a mettere la giusta tunica >>. Lo squadrò da capo a piedi, come per sottolineare il concetto.
Fece per andarsene ma alla fine Teo si degnò di riprendersi dalle ultime informazioni ricevute. << Devo accompagnare Romeo a casa dopo la fine della scuola, me l’ha chiesto suo fratello quando è venuto al colloquio per la sepoltura dei loro genitori >>. Don Gregorio sospirò, più rassegnato che esasperato, e annuì impercettibilmente prima di lasciarsi l’edificio alle spalle.
Quando Teo rientrò in classe fu accolto da una miriade di
domande, a cui però non si sentì di dare alcuna risposta.
Intervenne solo una volta che Romeo attaccò nuovamente
briga con Eleonora, incolpandola di essere una ciarlatana.
Alzò le mani, esausto, chiedendo venia. << Bambini, ve ne prego, usate un minimo di compostezza. Ho ricevuto cupe notizie dai miei Piani Alti e purtroppo mi tocca concludere nuovamente la lezione in anticipo>>.
Si aspettò un’altra ondata di chiacchiericci ma, al contrario, la
maggior parte dei presenti aveva una maschera di sollievo in volto; solo Romeo corrucciò un minimo la fronte, prima di raccogliere le sue cose e incamminarsi verso l’uscita insieme ai suoi compagni.

Finalmente all’aperto, in grado di respirare aria fresca per alleggerirsi la mente, Teo si perse a contemplare le nuvole ormai scurite e come in effetti il clima stesse diventando
sempre meno mite. Eppure quella mattina era uscito di casa con l’impressione che fosse magicamente tornata l’estate, non aveva portato con sé nemmeno la sua cartellina di pelle, lasciando quei pochi fogli pieni di appunti che si era portato dietro sulla cattedra, se avesse piovuto non avrebbe avuto
niente con cui farsi scudo.
A riscuoterlo dai suoi pensieri fu la
voce sommessa di Romeo: << Signor prete? >> Teo si girò verso di lui e cercò di forzare un sorriso nella sua direzione, ma le sue labbre si curvarono troppo debolmente, troppo asettiche.
<< Pensavo avessimo superato la parte del “signore” e di pensare a me solo come un prete >>. Quando sentì il silenzio incombere troppo, aggiunse << Puoi pensare a me come un quasi amico accompagnatore, non c’è bisogno che tu mi chiami
per nome, ma mi farebbe piacere se almeno mi dessi del “tu” >>.
I lineamenti del volto di Romeo si rilassarono, infilò le mani nelle tasche del suo misero completo e fissò il giovane uomo con i suoi occhi vispi e attenti. << Ci fate sempre andare a casa prima benché non ci diate mai un perchè >>.
Teo si passò una mano tra i corti capelli corvini – adesso avrebbe potuto giurare di aver percepito una goccia poggiarsi sul suo viso. << So che cerchi risposte, ma momentaneamente non posso proprio dartele. Posso solo dire, per ovvie ragioni, che sono cose da adulti, cose a cui un bambino non dovrebbe essere sottoposto >>. Romeo socchiuse gli occhi, come a
volergli conferire una nota più affilata. Non gli piaceva che gli
dessero del bambino, non all’età di 12 anni, non dopo tutto quello che aveva dovuto affrontare. Accelerò il passo in modo altezzoso, per dar voce ai pensieri che lo credevano già un giovane ometto rispettabile e autorevole. << Non sono poi così
sensibile o meno colto di voi altri per non poter udire argomenti alquanto… delicati >>. Teo lo guardò con scetticismo ma alla fine lo assecondò e accelerò anch’egli la marcia, sorpassandolo dopo poche falcate. Non voleva cedere alla sua
determinazione, sapeva di non dover parlare di certi argomenti
ai suoi alunni, ancor di più a uno la cui peste sottrasse proprio i genitori. Non ricevendo plagio alla sua sete di curiosità, Romeo stava già pensando a un altro modo per convincerlo a parlare ma, prima che riuscisse a schiudere anche solo la bocca, una
gelida cascata iniziò a riversarsi sui due, costringendoli a correre lungo l’ultimo tratto di sentiero per raggiungere il prima possibile un degno riparo.

La pioggia divenne così violentemente veloce da soffocarli e
appena salito il primo gradino la porta si ritrovò bombardata di
pugni tremanti. << Lascia stare, è inutile, non è in casa >> e tirando verso di sé la maniglia aprì cigolante la porta. Teo non potè fare a meno di lasciar vagare il suo sguardo all’interno della piccola abitazione. Si percepiva già da fuori la sua
piccolezza, eppure dentro sembrava a dir poco confortevole.
<< Non stare lì impalato, entra prima che ti prenda un malanno >> disse Romeo, lasciando Teo con un’espressione sorpresa in
volto. Non aveva mai messo piede in un casa che non fosse la.sua, l’idea lo fece fremere d’interesse.
Si richiuse delicatamente la porta alle spalle e si lasciò condurre da Romeo nel salottino: Teo ci aveva visto giusto, non era né grande né spazioso, eppure conservava una nota di calore. Il centro della stanza era occupato da un semplice
divanetto bianco dalle fatture soffici, il quale sembrò cercare di nascondere un camino con ancora le braci fumanti al suo interno; il pavimento era di legno, come d'altronde il resto dell’abitazione. Nella stanza a fianco riuscì a scorgere un tavolo con delle sedie, capendo quindi si trattasse della cucina. In un angolo della stanza vi era una scala a chiocciola, Teo poté solo dedurre che portassero alle camere da letto e al bagno. Era
tutto troppo semplice ma dopo anni passati in un convento di vetrate piene di mosaici e pavimenti di ossidiana quella semplicità aveva un qualcosa di rinfrescante.
Solo il pensiero di quella parola causò a Teo uno starnuto.
Si ricompose goffamente ma eccone un altro…e un altro ancora. Romeo alzò gli occhi al cielo mentre incrociava le braccia al petto.
<< Ecco, lo sapevo, hai indugiato troppo sulla soglia e ora starai male per davvero >>. Scosse la testa e
sospirò; certo che quel bambino era davvero polemico.
Scomparve per un breve istante nella stanza vicina e quando
ricomparve aveva con sé un fazzoletto di tessuto, il quale poco
dopo porse a Teo. Quest’ultimo si soffiò il naso in un modo decisamente non regale, tanto che Romeo lo guardò di traverso. Tra il rumore della pioggia e i rumori meno piacevoli che dovette subirsi a causa del suo nuovo ospite, quasi non sentì i cardini della porta cedere.

Tra amore e peccatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora