4 - tu mi chiedevi perché non parli

278 28 15
                                    


tw: attacco di panico


"Oggi vorrei provare un esercizio differente da quello di ieri. Ho qui diverse immagini, vorrei che tu ne scegliessi una che ti colpisce in qualche modo. Ti va?"

Sul tavolo di fronte a Simone ci sono una decina di fotografie sparse: alcune in bianco e nero, altre a colori. Ci sono paesaggi, volti, emozioni, simboli astratti– una sorta di collage visivo che riflette un vasto repertorio di sentimenti umani.

"Non so cosa dire, non lo so," mormora Simone, la sua espressione distante, quasi a voler evitare il dialogo, mentre la sua mano scorre lentamente tra le immagini di carta.

"Non devi pensarci troppo, scegli semplicemente quella che attira di più la tua attenzione."

E' gentile la voce della dottoressa, che non lo forza, gli dà tempo, lasciandogli lo spazio necessario per sentirsi a suo agio. E' la loro seconda sessione insieme, ma la prima con l'utilizzo dell'immagine terapia come principale metodo di confronto e Simone è frastornato, confuso, a tratti smarrito. Gli sembra tutto tempo perso - e poi cosa diamine dovrebbe mai vedere in quelle fotografie?

"In questo momento, puoi utilizzare una o più immagini per comunicare quello che ti è difficile spiegare a parole, qualsiasi cosa, emozione, ricordo."

Si sente in trappola Simone, che di parlare non ne ha voglia, non riesce, ma tutti sembrano volere solo quello da lui. Come se dar voce al suo tormento potesse magicamente portarlo via lontano. E lui non vuole cancellare più niente dalla sua vita, nemmeno il dolore.

Dopo alcuni minuti di silenzio, Simone solleva una foto in bianco e nero che mostra un vecchio albero spoglio, solo, in mezzo ad uno sfondo completamente nero.

"Perfetto. Cosa ti ha colpito di questa foto?"

"Il buio." Risponde senza pensarci troppo.

"Hai ragione, non c'è luce intorno all'albero. Vorresti ci fosse?"

"L'albero rimarrebbe comunque solo e spoglio."

"Ma con un po' di luce sarebbe in grado di vedere intorno e rendersi conto di non essere solo, in fin dei conti. Non credi?"

Simone alza le spalle, poi incrocia le braccia al petto e risponde, "No."

"Va bene. Quindi questo albero lo lasciamo da solo e al buio?" La dottoressa chiede conferma, un po' per mandare avanti la conversazione - la prima a cui Simone partecipa attivamente-, un po' per capire fino a che punto può spingersi.

"Non ha altra scelta."

"E chi lo ha deciso?"

"Non lo so, è così e basta."

"Okay. Cosa pensi sia successo all'albero? Per rimanere da solo e al buio, intendo."

"Ha dimenticato tutto e tutti."

E Simone non si rende nemmeno conto di quello che ha appena detto, le parole gli scivolano via come foglie al vento in autunno, lasciandolo esattamente come l'albero dipinto su quella fotografia, nudo in pieno inverno.

"E questo fatto merita una così severa punizione?"

"Io..Io, non-"

Il flusso di risposte si interrompe, e Simone distoglie lo sguardo dalla fotografia in bianco e nero da lui scelta poco prima; si sente ingannato, tradito quasi, e l'istinto di prenderla tra le mani e ridurla in mille pezzetti è tale da fargli stringere le braccia, ancora incrociate sul petto, così forte da togliergli il respiro.

i giardini di marzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora