6 - l'universo trova spazio dentro me

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tw: ansia, pensieri intrusivi, procedure mediche


La mattina arriva lenta, trascinando con sé una luce pallida che filtra attraverso le tende spesse della stanza. Simone apre gli occhi, solo perché deve, anche se è sveglio da ore ormai. Il suo corpo è rigido, pesante, ogni muscolo sembra rifiutarsi di collaborare. E la verità è che a lui non dispiacerebbe abbandonarsi a quella sensazione, che di bello non ha niente se non essere una scusa più che buona per non affrontare la giornata. 

C'è il ricordo della sera precedente a dare del filo da torcere alla sua mente, mentre il cuore non smette di battere sempre più forte. Rivede il viso di Manuel, la delusione e la tristezza nei suoi occhi, sente il silenzio che ha lasciato dietro di sé quando è scappato e lo ha lasciato senza dargli una motivazione; c'è il peso delle sue parole cariche di paura e rabbia, e si maledice per aver trattato così l'unica persona che vorrebbe vicino.

Perché ogni volta che qualcuno cerca di avvicinarsi a lui, sembra inevitabile trovare un modo per spingerlo via lontano.

Simone continua a fissare il soffitto.

Avverte la solita routine della clinica intorno a lui: i passi delle infermiere al di là della porta aperta, le voci basse degli altri pazienti, il rumore dei carrelli nei corridoi. Ogni cosa lo chiama ad uscire, ad iniziare la giornata, ma lui è stanco.

Tanto stanco. 

Il libro che Manuel gli ha regalato - La casa sul mare celeste - è ancora sul comodino, con il segnalibro infilato tra le pagine, che ora lo guarda come se fosse un piccolo rimprovero muto della sera prima. Ci aveva provato, da solo, a leggere quelle pagine, a trovare distrazione e conforto tra le righe di un libro scelto apposta per lui. Ma era tutto sbagliato senza Manuel accanto a sé, senza la sua voce a dare vita a quelle parole, a fare in modo che il mondo intorno sparisse anche solo per un attimo.

Quello che Simone sente ora è solo il peso dell'assenza.

Ed è tutta colpa sua.

*

Simone esce dalla sala comune quasi correndo, percorre il lungo corridoio per scappare da quella stanza e, più di tutto, da Manuel. Il suo respiro è affannoso, il battito accelerato, mentre cerca di allontanarsi il più possibile. Ma sono pochi i passi che compie prima di sentire una mano gentile posarsi sulla sua spalla. Si volta di scatto, quasi impaurito, e si trova di fronte uno degli infermieri che lo guarda con preoccupazione.

"Simone, torniamo in camera, ti va?"

Simone annuisce appena, seguendolo in silenzio lungo il corridoio, le mani infilate nelle tasche, le spalle strette e ricurve.

Dentro di sé, i pensieri intrusivi trovano terreno fertile e si diffondono senza ostacolo alcuno.

Il volto di Manuel e da quel senso di vergogna che non riesce a scacciare.

Arrivati in camera, l'infermiere si siede su una sedia accanto al letto e lo osserva con sguardo paziente. "Ti va di dirmi cosa è successo?" chiede, mantenendo un tono neutro.

Simone scuote la testa, fissando il pavimento. "Non voglio parlarne."

Il silenzio riempie la stanza e si fa denso, mentre il suo sguardo resta fisso su un punto indistinto del pavimento, dove cerca di riversare.

Passano secondi, minuti, prima chel'infermiere cerchi di stabilire una connessione con lui, senza forzarlo. "A volte è difficile tenersi tutto dentro, specialmente quando fa così male."

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