#28

16 5 3
                                    

BODIES

James si infilò le Jordan ai piedi. Preferì non prendere la macchina: se gli si fosse insinuato il capriccio di bere, non sarebbe riuscito a contenersi tanto agevolmente. Si diresse verso l'appartamento degli skater, nonostante il tempo meteorologico impedisse una camminata piacevole e tranquilla. Folate di vento strapazzavano gli alberi a bordo strada e torrentelli grigiastri scivolavano lungo i marciapiedi. Un acquazzone in piena regola stava investendo con veemenza la città. Schivò delle cartacce sospinte dal vento, rannicchiato sotto al suo ombrello verde militare, che imbottendosi d'acqua si appesantiva. Non era del giusto umore per andare a una festa. Il tarlo fisso dell'immagine di sua madre che invocava disperata il suicidio gli rosicchiava dolorosamente le meningi. Sarebbe rimasto volentieri a letto ad affondare la faccia sfibrata nel cuscino, ma aveva già dato agli amici la conferma di esserci e gli pareva male disdire all'ultimo momento.

James si districò tra un arcipelago di pozzanghere. Aveva un nodo alla gola e sequenze indistinte gli annebbiavano la vista. Non era in grado di pensare lucidamente. Non aveva idea di come si sarebbe comportato alla festa, e men che meno gli interessava stabilirlo. Solo una cosa si impose: niente droghe. L'uso di cocaina stava diventando un'irrefrenabile dipendenza. Bisognava iniziare prima o poi a lasciarsela alle spalle, e ci avrebbe provato già quella sera.

Suonò al campanello del condominio. Dal citofono gli rispose Henry. «Sei venuto alla fine, eh? Grande James!», e dopo un rutto, aggiunse: «La festa è già cominciata e ci stiamo spaccando, vieni su!» James varcò il cancelletto. Non prometteva bene, per niente. L'atmosfera lassù sembrava alle stelle, si intuiva dal tono scanzonato di Henry. Chiuse l'ombrello, si riparò sotto la tettoria per dei secondi e poi spinse la porta d'ingresso della palazzina. Quando si accinse ad imboccare la scalinata tinteggiata di giallo tenue che portava ai piani superiori, ripeté a sé stesso: "Va bene tutto, ma solo una cosa: no droghe. Forza, ce la posso fare".

La musica diventava più alta mano a mano che si inerpicava su per le scale: punk rock, rock & roll e pop punk goliardico. Come facevano i vicini a non lamentarsi? Erano forse abituati a quel baccano e ai continui party? James raggiunse il pianerottolo del penultimo piano e non fece in tempo a farsi avanti verso la porta dell'appartamento che questa si dischiuse all'improvviso. Dallo spiraglio tra essa e la parete sbucò la faccia di William, cerea e disfatta. Nonostante le condizioni debilitanti, l'amico lo incitò euforico: «Cos'è quell'espressione mesta?! Su con la vita, fratellooo!» Lo tirò per il braccio trascinandolo all'interno. Appena dentro, James spostò lo sguardo da sinistra a destra per inquadrare meglio il luogo in cui si trovava. Era in un soggiorno, occupato da un sofà etnico scalfito in alcuni punti della fodera e da un lungo mobile con su di esso una tv scassata. Sul divano erano seduti Anthony e due ragazze, intente a chiacchierare con lui. Un impianto hi-fi, gracchiante e con parecchi anni sul gruppone, emetteva le canzoni che animavano la festa. I balconi delle finestre erano chiusi e una luce malaticcia e stagnante si diffondeva per l'ambiente. Henry gli si parò davanti e lo accolse calorosamente, scortato da un tizio mai visto e da un'ammaliante tipa dai capelli bruni. Lo condusse fino alla piccola sala da pranzo, nella quale su un tavolo erano disposti in ordine i bicchieri per le partite di beer pong. Noah stava giocando da solo contro altre due ragazze, le quali strillavano galvanizzate ogni volta che la pallina da ping pong centrava il bersaglio. «Ei James...finalmente ci ribecchiamo.» Noah si prese una pausa dal gioco per stringergli la mano. «Loro sono delle amiche: Shanti e Mei.»

James venne rapito dalla seconda. Mei era asiatica, magra e slanciata, e portava i capelli a caschetto. Generalmente i lineamenti orientali non lo colpivano, ma lei era davvero particolare. Un tatuaggio sulla schiena, che risaltava tra lo spacco del tubino nero, e l'anello del nostril sul nasino pungolavano la sua immaginazione. "Ci proverei volentieri", confermò a sé stesso. Il match di beer pong riprese, tra i lanci fuori misura dei giocatori e le occhiate piacenti ed evasive di Mei verso la sua direzione.

Summer 98Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora