Capitolo 2

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Killian

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Killian

Il suono della palla che rimbomba tra le mura della palestra mi colpisce con una rabbia controllata e martella le tempie con la sua costante cadenza. Dribblo lungo il campo deserto e, arrivato nel punto giusto, mi giro su me stesso con ferocia, facendo roteare il pallone tra le gambe con una forza brutale che risuona contro il legno del pavimento.

Punto i piedi verso l'obiettivo con determinazione, allineando i fianchi con precisione. Afferro la palla con entrambe le mani e la spingo verso l'alto con un gesto aggressivo, sentendo il peso della mia furia scaricarsi sulla mano dominante mentre la sollevo con forza.

Con un balzo potente, mi lancio in aria, liberando la palla con quanta più violenza possibile.

Canestro.

L'adrenalina mi pervade con una furia bruciante, il fiato corto mi batte forte in gola e osservo la palla trovare la sua destinazione con una precisione letale.

Il mio respiro pesante riempie ogni angolo della palestra, graffia come unghie su una lavagna, prude come un rasoio sulla pelle. Le narici dilatate aspirano l'aria, ansiose di ossigeno. Sento la tensione accumularsi dentro di me, pronta a esplodere come un vulcano in eruzione.

Per evitare di impazzire durante le due ore libere causate da una riunione sindacale, ho deciso di trascorrerle in palestra per far slittare il tempo il più velocemente possibile.

«La stagione è appena cominciata, non hai bisogno di accanirti così tanto.»

Grugnisco, mi passo una mano sul collo percependo un lieve strato di sudore sulla pelle sotto il palmo arrossato dalla ruvidità della palla.

«Avevo bisogno di sfogarmi,» dico, lanciando la palla verso Dane. La afferra al volo con un gesto sicuro, poi senza esitazione la rilancia verso il canestro, centrando il tiro con precisione.

«Sfogarti?» inclina leggermente il mento, scrutandomi con occhi attenti. «O distrarti?» La domanda rimane sospesa nell'aria, come un sussurro a cui non posso sottrarmi.

Serrando la mascella, mi tolgo la felpa, lasciando che scivoli sugli spalti. Rimango in t-shirt, sento i muscoli farsi tesi e guizzare a suon di nervi.

«Allora?» insiste, accorciando la distanza tra noi.

Mi volto di scatto, evitando il suo sguardo, e mi dirigo verso lo spogliatoio. Faccio scorre l'acqua dal rubinetto e mi chino sul lavandino, lasciando che i getti freddi mi colpiscano il viso.

«Haylen Brown,» dice a un tratto.

Alzo lo sguardo verso lo specchio, dove lo vedo appoggiato alla parete dietro di me, le braccia incrociate sul petto, gli occhi verdi che mi osservano con un'intensità curiosa.

«Sembra che la biondina abbia qualcosa di...» si interrompe, il suo tono si abbassa, «...personale per te.»

Stringo i bordi del lavandino, le dita si contraggono attorno alla ceramica fino a sentirla quasi cedere sotto la pressione delle mie mani. Il mio respiro si fa rapido e profondo, rimbombandomi in gola mentre cerco di mantenere il controllo, combattendo la tempesta di emozioni che minaccia di travolgermi.

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