5. Scontro

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"Il dolore non è solo un'ombra
che si insinua nel cuore,
ma un fuoco che brucia,
scolpendo cicatrici invisibili,
raccontando storie di resistenza
e di rinascita."

Il sole si stava ritirando, come un amante stanco, lasciando dietro di sé solo le tracce rosse fuoco di un tramonto che si attardava all'orizzonte. Mi ero rifugiata nell'alcova della mia stanza, con il diario aperto sulle ginocchia e la penna che scivolava lenta tra le mie dita. La luce del tramonto filtrava dalle finestre, immergendo tutto in un bagno dorato e malinconico, quasi a voler fermare il tempo, rendendo tutto più intenso, più reale, come se persino l'aria avesse deciso di farsi denso, trattenendo ogni respiro.

Scrivere era come rilasciare un peso che non mi ero resa conto di portare; le parole fluivano senza sforzo, come se uscissero da un'altra parte di me, una parte che non mostravo mai a nessuno. L'inchiostro sulla pagina diventava l'eco dei miei pensieri più nascosti, delle parole che non osavo dire ad alta voce.

E poi, all'improvviso, il telefono vibra, spezzando quel silenzio sospeso. L'onda del suono mi scuote come una pietra lanciata in uno stagno calmo, le increspature si allargano e mi fanno uscire dal torpore in cui mi ero lasciata scivolare. Il nome di Michael lampeggia sullo schermo, freddo e distaccato, quasi irreale dopo due giorni di silenzio.

Prendo il telefono con un misto di esitazione e curiosità, lasciando che il dito scivoli sullo schermo per aprire il messaggio. Lo leggo una volta, poi ancora, come se quelle poche parole hanno bisogno di una traduzione.

"Festa stasera. Non fare tardi. Ecco l'indirizzo."

Nient'altro. Solo queste poche parole che sembrano state scritte da un estraneo, prive di calore o familiarità. Un invito che non suona affatto come un invito. Mi aspettavo di trovare una battuta, qualche accenno alla nostra ultima conversazione o una frecciata ironica, ma c'è solo quella distanza impersonale, quella freddezza inspiegabile che mi lascia confusa.

Non riesco a scrollarmi di dosso quella sensazione strana, come se Michael non fosse più lo stesso che avevo conosciuto, o forse ero io a non essere più la stessa.
Rimango lì, a fissare il messaggio, incapace di decidere se rispondere o ignorarlo. Quelle parole spoglie mi lasciano un sapore amaro, come il fumo di un incendio spento: qualcosa si è consumato, qualcosa che non riesco ancora a capire.

È strano come la mente si attacchi a dettagli insignificanti, come se cercasse di colmare vuoti che non sapevo di avere. In fondo al cuore, una scintilla di delusione si mescola al calore opprimente del tramonto, e non capisco se sia colpa sua o mia. Perché mi aspetto sempre che ci sia qualcosa di più, qualcosa sotto la superficie ruvida di Michael, che spesso mi spiazza e mi incanta allo stesso tempo.

Ma adesso... adesso lui sembra distante, nascosto dietro un muro che non riesco a scalfire. Mi ritrovo a chiedermi, ancora una volta, cosa mi attiri così tanto in lui, in questo continuo rincorrersi di ombre e promesse mai dette. È come una fiamma che arde, ma da lontano, un fuoco che non scotta e che non si lascia toccare. Eppure, ogni volta che penso di voltarmi e lasciarlo al suo mistero, qualcosa in me si ribella, come se avessi bisogno di capire cosa ci sia dietro la sua maschera di silenzi e sguardi fugaci.

La luce del tramonto si abbassa ancora, avvolgendo la stanza in un alone che sa di crepuscolo, di confine tra la realtà e il sogno. Forse è questo che mi affascina di più in lui, quella stessa sensazione di qualcosa di sfuggente, che non riesco ad afferrare. Come se volesse dirmi qualcosa, ma usasse un linguaggio che non conosco.

E allora rimango lì, sospesa, con la mia voglia di sapere che graffia e brucia. Forse stasera troverò delle risposte. O forse resterò intrappolata in altre domande.

Rising from Ashes: A Phoenix's LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora