Capitolo 6 - Jacob della famiglia Hill

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Quando si risvegliò, Jacob era rimasto solo. Si guardò intorno ma non vide suo padre, né il dottore, né le guardie. Guardò fuori dalla finestra e vide il cielo tinto di rosso. I colori del tramonto parevano più nitidi e vivaci che mai e gli trasmettevano un senso di tranquillità, pace e serenità.

Si alzò dal letto e uscì dalla porta. In strada, si fermò a rimirare gli alberi, i tetti, gli steccati, i cortili. Era un'atmosfera surreale, quasi magica. Mancava però qualcosa: non c'erano persone a camminare o lavorare, non c'erano pecore o galline a razzolare, tutto era immobile e in silenzio.

Un richiamo lo attirò. Non era una voce o un suono, era una sensazione. Sentiva di dover proseguire, andare in un luogo preciso. Si incamminò così verso la roccia al centro del villaggio e poi alla piazza.

Ad attenderlo, un mare rosso e nero che rifletteva i raggi del sole morente e rispecchiava il cielo tinto dei colori del tramonto. Dall'altra parte di quel mare, si ergeva il palco di legno usato al mercato e nei processi. Su di esso, svettava un palo. Legato ad esso, una figura annerita dalla cenere. Ai suoi piedi, un uomo in ginocchio.

Immobile e confuso, Jacob fu investito da un'ondata di inquietudine. Ma la sensazione di pace non se n'era andata. Le due emozioni si incontrarono e mischiarono, avvolgendolo come un sogno mistico da cui difficilmente si sarebbe destato.

Riprese a camminare, oscillando tra la calma di chi non capiva che cosa stesse accadendo e l'agonia di chi poteva intuirlo. Ogni suo passo si immergeva nel rosso scuro, in una pozza fangosa che mescolava i colori del tramonto a quelli del terriccio. Qua e là, intravedeva brandelli di stoffe intrise di quel fango rosso. Man mano che si avvicinava al palco, vedeva i dettagli della pozza farsi più nitidi: scarpe e cinture, cappelli e camicie, calzoni e grembiuli. Cumuli di carne. Nemmeno al macello per Pasqua aveva mai visto tanta carne tutta insieme. Era tutto così surreale che si era convinto si trattasse di un incubo. Voleva svegliarsi ma sentiva di dover proseguire e addentrarsi in quell'incubo.

Raggiunse il palco e si avvicinò all'uomo ai piedi della figura cinerea legata al palo. Riconobbe suo padre ma non sapeva dire se fosse davvero lui. Era inginocchiato a contemplare la figura, completamente ricoperto dallo stesso fango rosso scuro in cui aveva appena camminato.

Volse lo sguardo nella stessa direzione del padre, verso la figura annerita legata al palo. Era irriconoscibile ma non c'era bisogno di riconoscerla per sapere che si trattava di sua sorella.

Una lacrima gli rigò la guancia e posò istintivamente la mano sulla spalla di suo padre, per dargli conforto o per riceverne. Obadiah finalmente interruppe quel silenzio irreale:
<<Il Signore ci ha puniti. Che male abbiamo fatto?>>
Jacob era ancora confuso, immaginava come si fosse svolto il processo ma non capiva che cosa fosse accaduto dopo la condanna. Obadiah continuò, facendosi un poco più lucido ma esitante:
<<Ho pregato... ma è stato inutile. Hanno ucciso mia figlia... tua sorella... Forse, in quel momento, il mio cuore ha desiderato vendetta o... Non lo so ma... qualsiasi cosa fosse, mi ha tolto tutto ciò che mi era rimasto.>> distolse lo sguardo da Charity e guardò Jacob negli occhi <<Ho lasciato che Dio mi guidasse, che usasse il mio corpo per portare giustizia in terra... ma non era Dio.>> i suoi occhi si riempirono di lacrime, che scesero a mischiarsi con quel fango rosso che gli copriva il volto <<Il demonio è davvero giunto tra noi. Ma non tramite Charity. Gli ho permesso di usarmi e... ha ucciso tutti... io ho ucciso tutti. Avevano peccato ma... io ne ho commesso uno ancora più atroce. Anche chi non aveva colpe... le mie bambine... le mie figlie...>>

Obadiah si strinse al grembo del figlio, che rimase immobile a fissare nel vuoto in direzione della figura cinerea che un tempo era sua sorella. Ricambiò l'abbraccio del padre senza cambiare espressione, rimanendo fermo a fissare il vuoto.

La sua vista si annebbiò. Gli sembrò di risvegliarsi da quell'incubo, di poter tornare alla sua quotidiana normalità. Si sarebbe alzato dal letto, avrebbe salutato le sue sorelle sorridenti, sarebbe andato in bottega ad aiutare il padre.

Ma il suo risvegliò non fu piacevole. Quando tornò in sé, si trovava sul palco di legno della piazza. Davanti a lui, il corpo carbonizzato della sorella. Dietro di lui, un mare fangoso rosso e nero rifletteva il tramonto. Ai suoi piedi, suo padre giaceva inerme, ricoperto da quella stessa fanghiglia, con gli occhi spalancati e privi di vita e senza più un cuore a battergli in petto.

Jacob si guardò la mano destra. Era ricoperta di rosso. Era il sangue di suo padre. In quel momento di realizzazione, panico e terrore lo pervasero. Cadde in ginocchio, con le mani a terra, sputando sangue e non solo. Una voce gli parlò e un'ombra gli apparve.
<<Il sacrificio è compiuto, la maledizione tramandata.>>

Quella voce sibilante e quell'ombra tremolante come fumo erano la sua maledizione. Jacob capì tutto, suggeritogli dalla nuova consapevolezza che accompagnava la sua nuova condizione. Nel suo immenso dolore, Obadiah aveva attratto una figura infernale, che gli permise di vendicare la morte di sua figlia in cambio della morte di tutti gli abitanti del villaggio. Solo Jacob era stato risparmiato affinché potesse accogliere il diavolo dentro di sé.

Jacob avrebbe voluto liberarsi di quella possessione ma sapeva di non poterlo fare. Il diavolo, Agares, era astuto, esperto d'inganno, dedito al sapere e maestro di nozioni arcane. Gli aveva trasmesso conoscenza, consapevolezza, addirittura uno scopo. Solo tramandando la maledizione, essa si sarebbe interrotta. Era inevitabile e opporsi avrebbe portato ancora più morte e distruzione. Jacob avrebbe dovuto generare un figlio e offrirgli il suo cuore affinché il diavolo evocato dal padre potesse trasferirsi al figlio e al figlio del figlio tramite l'innaturale pasto. In cambio, gli ospiti di Agares avrebbero ottenuto conoscenze oltre ogni loro immaginazione e il potere di realizzare la loro idea di giustizia.

Obadiah aveva sacrificato un intero villaggio per quel dono, per quella maledizione. Jacob aveva il compito di tramandare quell'oscuro passeggero e sapeva come utilizzarlo. Aveva capito che Agares non era malvagio di per sé, dipendeva tutto dall'idea che ne aveva il suo ospite umano. O forse anche questa consapevolezza era solo l'inganno del diavolo che sussurrava all'anima di un ragazzo rimasto solo al mondo.

Jacob aveva una sua idea di giustizia e voleva mettere il suo nuovo potere al servizio del mondo: nessun altro avrebbe dovuto soffrire come la sua famiglia. La prima cosa che fece fu dare fuoco al villaggio: gli eventi di quel giorno sarebbe dovuti rimanere sepolti. Li trascrisse però in un diario, che avrebbe tramandato insieme alla maledizione così da offrire una guida ai suoi discendenti, che avrebbero potuto fare del bene con quel dono scaturito dal male.

Jacob Hill, nato a Bear Rock, Massachusetts, figlio di Obadiah e Mary Hill, fratello di Temperance, Charity, Prudence e Patience Hill. Non aveva più una casa, non aveva più una famiglia. Si incamminò verso la città più vicina, dove avrebbe studiato e sarebbe diventato un professore all'università locale. Lì, avrebbe scritto il diario che sarebbe stato continuato dalle generazioni a venire di chi avrebbe ricevuto il dono e la maledizione del diavolo Agares, fino all'ultimo discendente che avrebbe messo fine al contratto.

Quello era il contratto degli Hill. Il loro contratto di famiglia.

Devil - il contratto di famigliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora