5

3 1 0
                                    

<<Louis!>> Urlò Luce svegliandosi di soprassalto. Erano passati più di tre anni e ancora lo sognava facendole dimenticare per qualche istante quei tre anni di agonia.
Era ormai rassegnata a quel dolore cocente che la attraeva in una morsa sublime giorno e notte: non l'avrebbe mai superata.
Fuori era buio, per quanto aveva dormito?
La pancia vuota forse da giorni iniziò a brontolare, decise di alzarsi.
Faceva freddo e abbandonare il tepore delle coperte le sembrava uno sforzo immane ma si sforzó comunque di trascinare le gambe pesanti fino alla cucina.
Il frigo era vuoto così come la credenza, ma notó un pacchetto sul tavolo bianco stranamente ordinato. Si guardó intorno: tutto il disordine accumulato in mesi di pigrizia era svanito come per magia.
Cercando di capire chi potesse essere stato, lesse il post-it giallo sulla confezione che sormontava il tavolo e comprese.
"Ho pensato che potessi avere fame e la dispensa era vuota, buon risveglio -E".
Non riusciva a capacitarsi della gentilezza che le stava dimostrando quello che era a malapena un conoscente. Aprì la busta di carta e ne estrasse il contenuto per poi dirigersi verso il divano con una lentezza disarmante. Accese la televisione per poi spegnerla un istante dopo nell'udire delle note levarsi dal piano di sotto. Consumó la sua cena con calma, cullata da quella dolce melodia che ormai era l'unica cosa che le permetteva di respirare senza sentire quel peso sul petto che ormai era quotidianità.
Stava ancora masticando quando la dolcezza della musica si tramutò in un doloroso miscuglio di suoni che proseguirono per qualche istante, poi si sentì un miscuglio di tasti schiaccianti a casaccio, con foga, tutte insieme e subito dopo un tonfo, come se quel magnifico strumento fosse stato chiuso di colpo, con rabbia, frustrazione per qualcosa di ignoto.
Luce sussultò e con movimenti incerti si alzò e si diresse inconsciamente alla porta, stupita da quel cambio repentino del musicista. Senza pensarci aprì la soglia e scese a passi lenti le scale fino al piano inferiore. Si accostò alla porta e ascoltò. Silenzio. Poi, ovattati, dei singhiozzi sommessi, buttati fuori quasi con vergogna. Ricordava la vergogna che provava all'inizio nel buttar fuori le proprie emozioni, col tempo però ogni pudore era svanito, lasciandole un vuoto dentro che la faceva scoppiare in lacrime anche davanti a gente che di lei non sapeva nemmeno il nome senza alcun rimorso, non le importava più avere un contegno, le interessava solo affievolire quella morsa devastante.
Mattia però non sembrava abituato a sfogarsi: anche da solo, nel silenzio del suo appartamento, cercava di soffocare il suo dolore.
Esitò un istante con il pugno pronto a bussare e proprio quando stava per decidere di intromettersi in quell'attimo di intimità, il lamento cessò improvvisamente, proprio come era iniziato.
Rimase interdetta qualche secondo, poi udì dei passi avvicinarsi all'uscio e, senza avere il tempo di pensare ad una via di fuga, si ritrovò dinanzi a quegli occhi assurdamente verdi.
<<Ciao>> sussurrò Luce con timore. Sentiva di aver invaso la sua privacy, di essersi intromessa in qualcosa che non la riguardava.
<<Sei sveglia. Come ti senti?>> Sul suo volto era scomparsa qualsiasi emozione lo avesse travolto solo pochi attimi prima e un sorriso dolce gli illuminava il viso anche se Luce notò che il sorriso non arrivava agli occhi ancora umidi e arrossati.
<<Grazie per quello che hai fatto, nel mio appartamento e... in ospedale.>> Le tremava la voce ma si fece forza e rimase con gli occhi fermamente piantati nei suoi.
<<È tutto okay, non è nulla>>.
Poi, senza preavviso, le sfuggì di bocca <<Perché lo fai?>>
<<Fare cosa?>> Uno sguardo curioso spuntò sul volto delicato di Enea.
<<Essere gentile con me, non mi conosci nemmeno...>> Il viso di Luce si abbassò colto da un disagio improvviso.
Lui sembrò colto alla sprovvista. Pareva stesse per dire qualcosa ma le sue labbra rosee si chiusero di scatto, serrandosi.
Luce si guardava le punte dei piedi, aveva dimenticato di mettere le scarpe e solo ora notava il gelo che si diffondeva dal pavimento di marmo bianco.
<<È giusto così.>>
Tre parole.
Tre parole che per lei ebbero il peso di un macigno sulle spalle. Era quindi questione di morale? Era solo un caso di solidarietà? La gola le si chiuse e si rese improvvisamente conto di quanto dovesse sembrare insignificante e patetica la sua esistenza, quanto lei potesse apparire fragile e bisognosa di aiuto.
Serrò la mascella e si sforzò di dire <<Capisco.>> Poi, senza aggiungere altro, tornò sui suoi passi per trascinarsi verso il suo limbo fatto di lenzuola e cuscini, al buio di quella gelida serata invernale e, nel silenzio, pianse stupendosi che le sue lacrime dopo tutto quel tempo riuscissero a sgorgare dalla sua arida anima.

La bellezza delle piccole cose Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora