6

4 0 0
                                    

"Alla radio davano "Spirits" dei The Luminers. Luce cantava a squarciagola e Louis rideva dicendole che con la sua voce avrebbe potuto benissimo dire addio all'università e tentare il successo. Lei, puntuale come ogni volta che accennava al suo talento per la musica, gli rispondeva che non era vero e che lo diceva solo perché l'amava. «Sapevo che l'amore rende ciechi, non sordi» gli diceva. E lui rideva più forte, immaginando la sua vita accanto a quella ragazza fantastica che era stata la sua migliore amica fin da bambini e che al liceo divenne la sua ragazza. Non avrebbe mai creduto di poter provare un legame così forte per qualcuno, eppure eccoli lì, legati da un amore totalmente incondizionato e genuino.
Stavano andando a cena da Clara, la migliore amica di Luce, ed erano in ritardo perché si erano addormentati sul divano davanti all'ennesimo rewatch di "Friends". Ormai i loro amici dovevano essere tutti lì ad aspettarli. Fra le lezioni universitarie e il lavoro di ognuno di loro, era diventato quasi impossibile passare una serata tutti insieme, ma, dopo settimane di "non posso" da parte di uno o dell'altro, erano riusciti ad organizzare una cena tutti insieme.
Louis sorrideva rilassato Luce lo osservava sulle ultime note di quella bellissima canzone quando accadde la tragedia...
Solo due fari ad avvisare del dolore che avrebbe logorato Luce per i successivi tre anni, due fari che invasero la loro corsia all'ultimo secondo senza dargli la possibilità di poterli evitare. Poi, l'impatto."

Luce si svegliò ansimando in un bagno di sudore. Riviveva quei momenti quasi tutte le notti senza darle la possibilità di dimenticare anche solo per un giorno quella paura e il dolore che ne conseguiva e la logorava risveglio dopo risveglio.
Fra incubi e brevi momenti di veglia, che Luce impiegava per andare in bagno e sforzandosi di mandare giù un bicchiere d'acqua gelida, passarono tre giorni.
Il sole stava sorgendo, tingendo di sfumature rosa il cielo stranamente limpido di quella mattina invernale. Il silenzio nel suo appartamento era assordante, così assoluto da sentire anche il suono più impercettibile: il suono del rubinetto che perdeva nel bagno, il frusciare della leggera brezza fuori dalla finestra, il ticchettare dell'orologio in cucina e dei passi che salivano su per la tromba delle scale e che... si fermavano sul suo pianerottolo.
Un timido bussare la convinse ad alzarsi e ad abbandonare il suo amato cumulo di cuscini e lenzuola, ma, poco prima di dire a chiunque si trovasse al lato opposto della porta di andare via, notò un foglio del colore del cielo con su scritto in una grafia perfettamente ordinata: "Ho mentito -M"
Luce rimase perplessa, con lo sguardo corrucciato restò a fissare quel foglio per attimi infiniti. A cosa si riferiva? Perché voler parlare -o meglio, scrivere- a una persona tanto insignificante come lei? Non aveva già fatto abbastanza? Le sue buone azioni non gli erano bastate a ripulirsi la coscienza e far aumentare il suo ego? Quelle domande le si affollavano nella mente sovrapponendosi le une sulle altre quando, senza nemmeno rendersene conto, andò alla ricerca di una penna per scarabocchiare sul foglio nel suo corsivo disordinato -totalmente opposto a quello di Enea: un'unica parola, "Ovvero?"
Fece scivolare con mani tremanti il foglio sotto la porta e senza attendere una risposta tornò al suo groviglio di coperte dove rimase a rigirarsi per ore senza riuscire a smettere di ripetersi quella frase nella mente. Su cosa aveva mentito? E perché confessarglielo adesso? Non voleva dare importanza a una persona che le stava accanto "perché è giusto così", ma dopo l'ennesima ora di insonnia decise di muovere quei sedici passi -si, li aveva contati- che la separavano dall'ingresso e afferrare quel maledetto foglio azzurro.
"Non lo faccio perché è giusto, lo faccio sono un maledetto egoista che ha bisogno di un tuo sorriso."

La bellezza delle piccole cose Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora