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La depressione non ha un flusso continuo. Ci sono giorni in cui ti lascia un attimo di respiro, in cui chi ne è affetto si ritrova in una situazione di pura euforia: la chiamano fase maniacale.
Ti dimentichi per qualche ora -o, se sei fortunato, qualche giorno- di quell'assurdo groviglio di emozioni cupe che ti attanaglia lo stomaco da così tanto da essere diventato quotidianità.
Quella mattina Luce era decisamente in fase maniacale.
La svegliò l'alba e prima ancora che il cielo perdesse quelle pittoresche sfumature rosa e arancioni di cui tanto aveva letto nei suoi libri, quando ancora la lettura le sembrava una buona via di fuga dalla realtà, era già in piedi e diretta al bagno per una calda e lunga doccia.
Aprì il rubinetto girando la manovella tutta verso sinistra -voleva che l'acqua fosse talmente calda da farle girare la testa- e si svestì.
Di solito schivava gli specchi per evitare di incrociare il riflesso di quel corpo che ormai le sembrava totalmente estraneo, quella mattina però volle affrontarlo.
Osservò ogni centimetro della sua pelle nuda, bianca come porcellana e tesa sulle costole e lo stomaco incavato. I suoi seni, un tempo pieni e sensuali, sembravano quelli di una bambina che aveva appena solcato la soglia della pubertà. Le gambe, un tempo forti e toniche, erano talmente sottili da far dubitare di poter reggere il busto nonostante la spaventosa magrezza di tutto il suo corpo. Ma la cosa che più le faceva sembrare che quel corpo non le appartenesse era il suo viso. Gli zigomi, sempre stati pronunciati, adesso erano così sporgenti e affilati da farla sembrare un teschio. Gli occhi, un tempo pieni di vita e tanto luminosi da far sorridere chiunque cadesse in quelle pozze nere, erano spenti e incavati, circondati da ombre grigie. E i suoi amati, lunghissimi capelli erano diventati una massa indisciplinata priva della setosità che un tempo li caratterizzava.
Lanciò un ultimo sguardo disgustato ma al contempo distaccato, come se quello non fosse davvero il suo riflesso, e si infilò sotto il getto caldo, decisa a godersi quella breve e fuggevole sensazione di gioia ingiustificata.
Rimase sotto l'acqua per quelle che le parvero ore e una volta uscita circondata dal vapore il sole era già alto.
Le brontolava lo stomaco, una sensazione che aveva dimenticato, ma il frigo era vuoto. Decise di andare in un piccolo caffè in fondo alla via, indossò dei jeans troppo larghi e una felpona grigia in cui ci sarebbe entrata facilmente tre volte e scese le scale con la testa leggera, inebriata da quello strano senso di vuoto mentale che le dava una tregua da tutti quei pensieri malati che le incancrenivano la vita ogni giorno e notte da quella che le sembrava una vita intera, tanto da star cancellando dalla memoria ogni briciolo di gioia dai suoi ricordi.

Fuori il freddo la fece rabbrividire e sentire la pelledoca affiorare sulle sue braccia con prepotenza. Aveva il naso e le guance rosse per il gelo esterno e fu un sollievo entrare nel piccolo locale. L'ambiente a quell'ora era abbastanza vuoto da risultare calmo e accogliente sotto le luci calde e con il riscaldamento acceso.
Luce si guardò attorno un po' spaesata, cercando l'angolino più isolato del caffè e stava per raggiungere una poltroncina accanto a una finestra quando i suoi occhi caddero su una figura silenziosa e solitaria a due tavoli dal suo. Enea.
Fu un attimo interdetta sulle opzioni a sua disposizione: ignorarlo, scappare o salutarlo. Il buonumore le diede forza e si fece avanti lentamente. Fra le mani teneva un libro malconcio che le era familiare, le pagine ingiallite e consumate dal tempo e, probabilmente, dalle tante mani che lo avevano toccato. Lui non sollevò lo sguardo così lei deglutì a vuoto e in flebile sussurro segnalò la sua presenza con una domanda che aveva a fior di labbra da quando lo aveva notato immerso nella lettura. <<Cosa stai leggendo?>>
I suoi occhi la guardarono stupiti per un attimo per poi sorridere insieme alle sue labbra rosee. <<Via col vento>>.
Gli occhi di lei si illuminarono ed Enea se ne accorse <<Lo conosci?>>
Luce arrossì vistosamente ed abbassò lo sguardo. <<È il mio romanzo preferito>> affermò con più sicurezza di quanto credesse possibile.
<<Direi che hai buongusto, perché lo sto veramente apprezzando, la figura di Scarlett mi stupisce di più ad ogni pagina che sfoglio>>.
<<Non è una lettura per tutti, non sapevo che leggessi>> si sentì dire con stupore Luce.
Lui sembrava contento di scoprire qualcosa in più sul suo conto e, soprattutto, sentire la sua voce che pensò fosse dolce come il miele.
<<Non posso dire lo stesso, hai la casa tappezzata di volumi di ogni genere.>>
<<Un tempo... poi l'incidente...>> ammutolì e quella scintilla di spensieratezza si affievolì, il ricordo di quel giorno era deleterio più del cianuro: il veleno ti distrugge il corpo; il lutto la mente, il cuore, l'anima.
Enea sembrò percepire le emozioni di Luce e per distoglierla dai suoi pensieri la invitò a sedersi ed ordinare insieme a lui qualcosa da mangiare anche se era quasi certa che lei avrebbe rifiutato, ma con un certo stupore per lui, lei spostò la sedia e si accomodò.
Una cameriera li avvicinò poco dopo e in breve furono davanti a due hamburger a dir poco enormi e una porzione di patatine da condividere e che divorarono come se non mangiassero da giorni e, in effetti, per Luce era così.
Mangiarono in religioso silenzio, la brevissima conversazione che avevano avuto aveva già consumato l'umore di Luce che stava rivivendo nei suoi pensieri i ricordi che aveva di Louis e non riusciva a pensare ad altro, anche in mezzo alla gente e con un ragazzo dinandi, se non "avrei potuto essere io, avrei dovuto essere io."
<<Vuoi che torniamo a casa?>> Chiese Enea vedendola turbata. Lei annuì impercettibilmente e lui la prese per mano invitandola ad alzarsi. Quel breve contatto scatenò in lei un calore nel petto, non sfiorava nessuno, nemmeno la mano di qualcuno, da così tanto tempo...
Si avviarono.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 2 days ago ⏰

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