Parte della storia senza titolo

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"When the rain is blowing in your face
and the whole world is on your case. I could offer you a warm embrace
to make you feel my love"

Adele "Make you feel my love"

"Lo porterò per sempre nel mio cuore, niente potrà mai farmi dimenticare di lui, Michael è ormai una parte di me".

Erano queste le parole che non abbandonavano la testa di Luke. Erano passati cinquant'anni e ricordava ogni singola scena di quella che poteva definirsi "la catastrofe del secolo". Era tutto impresso davanti agli occhi e ancora sentiva la presa di Michael stringergli il polso, la sua voce rimbombare nelle orecchie.

Era l'estate del 1912, ormai si parlava di quella cosa da mesi, forse anni.
Dal piccolo porto di Southampton sarebbe partita la nave più famosa della storia, il Titanic.
I giornali la definivano "la nave dei sogni" ed ogni famiglia ricca del paese non aveva osato sul comprare immediatamente un biglietto, andare a New York era il sogno di tutto, in quel periodo.
Il nuovo continente offriva lavoro, stabilità economica e in quel periodo chiunque voleva ribaltare la propria posizione, soprattutto se era negativa.
Luke non vedeva l'ora di partire. Figlio di Mark Parker e Julie Roundpoint. Il primo era un famoso orologiaio, amato e stimato da tutta la Gran Bretagna, la seconda era la figlia di un' aristocratico francese. Il loro, all' inizio, fu un matrimonio combinato ma alla fine e, dopo la nascita del loro unico figlio, avevano imparato ad amarsi.
A Luke era destinato il grosso patrimonio delle due famiglie e l'impresa orologiaia del padre, inoltre, appena sbarcato dall'altra parte del mondo, avrebbe dovuto sposare Margaret, figlia del migliore amico del padre, non che una ragazza davvero intelligente, educata ed istruita.
Sembrava tutto perfetto se non ci fosse stato un piccolo dettaglio...a Luke le ragazze non piacevano per niente.
L'omosessualità in quel periodo non veniva accettata, quelle poche persone che avevano avuto le palle di dichiararsi erano state ripudiate, cacciate di casa o uccise dalle proprie famiglie, quindi preferiva fare buon viso a cattivo gioco.
Quando il giorno del suo compleanno trovò sulla scrivania quei tre biglietti che tanto temeva, ebbe un nodo alla gola. Il matrimonio stava per arrivare. Ma nonostante ciò non vedeva l'ora di visitare "La grande mela".
Dalla loro lussuosa villa a Portsmouth, ci avrebbero impiegato pochissimi minuti ad arrivare al punto di partenza.
Caricate le valigie, si misero in viaggio.

Michael era cresciuto per strada.
Non aveva mai avuto una vera famiglia o una casa, rubava qualche avanzo dai cassonetti e dormiva sotto i porticati dei grossi palazzi che decoravano le strade del suo piccolo paesino.
Ormai anche lui aveva sentito parlare di questo grosso evento e desiderava con tutto il cuore poter parteciparvi.
Forse l'America gli avrebbe donato una vita migliore. Era pronto a mettersi in gioco, era pronto a lasciare tutto e partire, anche se, in fin dei conti, non possedeva niente.
Camminava lentamente ammirando le persone che si affrettavano a partire, trasportavano grosse valigie e borsoni, indossavano lussuosi abiti e splendidi cappelli.
Li guardava con un pizzico d'invidia, domandandosi che se i suoi non l'avessero mai mollato davanti al portone della chiesa di Don Fabrizio, forse la sua vita sarebbe stata molto meglio.
Aveva provato in tutti i modi di rintracciare i suoi genitori, ma tutti i suoi sforzi non servivano a nulla e puntualmente si ritrovava al punto di partenza finché non gettò totalmente le speranze.
Decise così di dirigersi verso il tanto stimato porto, si sarebbe intrufolato nelle stivi della terza classe, nessuno l'avrebbe notato.

Luke era sorpreso e impaurito al tempo stesso, sarebbe salito su quel gigante di metallo.
Era una struttura molto imponente, in pratica risultava indistruttibile.
Un brivido gli percorse la schiena e le labbra gli si seccarono, si sarebbe goduto quella "vacanza" e perché no, riuscir ad annullare le nozze?
Si guardò attorno incuriosito, non aveva mai visto tante persone in un posto solo, nemmeno alle feste che il padre organizzava ogni mese.
Bambini stretti dai loro genitori, chi si abbracciava e chi piangeva al solo pensiero di non poter vedere più un loro parente.
Si voltò verso i suoi, freddi come il ghiaccio, nemmeno un piccolo accenno di gioia, tristezza, rabbia o qualunque emozione e si ricordò di come si sentiva a disagio con loro.

Dopo innumerevoli fatiche, i "corri silenziosamente altrimenti ti fanno il culo" Michael riuscì ad infiltrarsi nelle stivi della nave. Era un susseguirsi di stanze, buie e umide, che contenevano bagagli, carrozze e pochissime automobili, erano vetture molto rare e riservate ad un certo rango sociale. Complessivamente in Inghilterra solo due o tre famiglie le possedevano.
Dopodiché si ritrovò in un lungo e sottile corridoio.
Come ambiente risultava poco illuminato e anche poco pulito, le pareti erano tinte di un lieve azzurro ed erano costellate da una miriade di porte da dove provenivano schiamazzi e risate.
Le stanze della prima classe erano meravigliose.
Le pareti erano dipinte di un rosso Tiziano ed erano decorate da splendidi quadri di Monet e Picasso che erano rinchiusi in cornici d'oro piene di ghirigori.
C'erano pochi mobili: un letto in ferro battuto, una specie di scrivania di legno di quercia, o almeno così sembrava, uno specchio e un armadio in tinta con la scrivania.
C'erano anche due porte, una portava in una seconda camera, l'altra, ovviamente, era il bagno.
Luke non poteva ancora crederci di essere lì. Guardava i suoi sistemare gli affetti personali che si erano portati dietro, poi guardò le pareti che sembravano soffocarlo. Si sentiva un uccellino rinchiuso in una gabbia di cui avevano gettato la chiave. Doveva andarsene da lì altrimenti avrebbe dato di matto. Decise così di andarsi a fare un giro.

Le stanze della terza classe erano un buco in una parete, nel vero senso della parola.
Solo nella sua c'erano quattro letti, un misero armadio quasi cascante e il bagno grande quanto una mano.
Avevano speso miliardi per costruire quell'affare dotato di ogni confort e avevano lasciato nella merda proprio loro, ma dalla società dell'epoca, cosa poteva aspettarsi?
Michael si sentiva a disagio. Una forte puzza di muffa gli invase le narici, notò che sugli altri letti erano state poggiate delle sacche e su uno era stata versata una bottiglia intera di vino, emanava un' odore talmente forte che unitosi a quello che già dominava nella stanza, gli fece venire un forte mal di testa.
Fortunatamente gli capitò la branda vicino alla porta, non si sentì mai così sollevato in vita sua.
Si sdraiò su di essa e fissando il soffitto pensò a cosa gli riservava il futuro.
Sarebbe stato un punto di svolta? O si sarebbe gettato la zeppa sui piedi? Aveva tanta paura.
Avrebbe trovato un lavoro? Una casa? Una famiglia? Una moglie? Bhe, su quest'ultimo punto avrebbe dovuto pensarci bene, a lui le ragazze non interessavano molto e di certo non avrebbe condiviso la proprio vita con qualcuno che, a suo malgrado, non avrebbe mai amato.
Scacciò immediatamente quei pensieri dalla testa e decise di andare a farsi un giro.

Il cielo era limpido e nessuna nuvola minacciava quella quiete.
Luke era affacciato alle ringhiere del pontile della nave mentre ammirava, quasi estasiato, le onde che si frantumavano contro il gelido metallo.
La sua visuale comprendeva chilometri e chilometri di acqua e l'orizzonte sembrava quasi confondersi con la volta celeste. In quel momento sentiva solo la leggera brezza estiva che gli accarezzava dolcemente la pelle e gli scompigliava i capelli.
Era sommerso da mille pensieri, mille immagini si riversavano come una cascata nella sua mente e fu scosso da un leggero mal di testa.
Quando si voltò per rientrare, lo notò.
Una figura alta, snella e dai capelli castani scompigliati. Era seduta su una i quelle specie di panchine e stringeva tra le labbra una sigaretta, il fumo che ne fuoriusciva gli incorniciava il viso e metteva in risalto gli occhi color ghiaccio.
Ebbe un tonfo al petto e sentì uno strano bruciore che gli partiva dallo stomaco, cosa gli stava succedendo?
"Hai finito di guardarmi?"
"Come scusa?" ed in quel momento si rese conto che non aveva avuto gli occhi incollati a quel ragazzo.
"No, cioè io, non volevo..." iniziò a balbettare mentre si passava una mano tra i capelli.
"Vieni qua" l'esordì la misteriosa figura e Luke, come un bravo bimbo, non se lo fece ripetere su due volte.
Da vicino era ancora più bello.
Labbra rosee, guance paffute e occhi che potevano si confondevano con il colore del mare. La perfezione fatta a persona.
"Piacere Michael"
"Ehm...Luke Jonathan Parker" farfugliò il biondo.
"Ti chiamo Luke per convenienza" disse l'altro per poi abbandonarsi a una leggera risata. "Vuoi fare un tiro" disse sbuffando una nube di fumo che fece tossire il biondo.
"Non fumo, grazie" "Dai su, solo uno " ed immediatamente Luke si ritrovò quell'affare tra le labbra e le dita lunghe e sottili di Michael stringerlo. In quel momento avrebbe preferito altro sulla sua bocca.
"Allora, inspira ed espira, se ti brucia la gola è tutto normale".
Luke obbedì prontamente, ma non appena sentì un fuoco lacerargli i tessuti della gola tossì fortissimo e ciò non fece altro che far ridere, ancora più rumorosamente, Michael.
"Sei una schiappa" esordì quest'ultimo. "Che ci fai qui?" sputò tutt'un tratto.
"Come scusa?" domandò Luke. Era troppo ipnotizzato dallo sguardo di Michael. Gli ricordava tutte le cose belle di questo mondo e non voleva più smettere di guardarlo.
Michael che intanto aveva finito la sigaretta e aveva gettato la cicca per terra, non curandosi che a pochi centimetri da lui c'era un cestino per i rifiuti.
"Sono diretto a New York" disse Luke all'improvviso.
"Anche perché l'unico scalo che faremo è proprio lì" sorrise il moro guardandolo.
"Ah...davvero? Ma si lo sapevo!" esclamò il biondo mentre gli dava un piccolo schiaffo sul braccio, che all'apparenza sembrava abbastanza muscoloso.
"Certo, certo" ammiccò l'altro "Ci crediamo"
Luke fece per alzarsi ma sentì una presa stringergli il braccio. Quelle dita erano carboni ardenti sulla sua pelle, un dolore che gli provocava un brivido di piacere.
"Dopo ci rivediamo vero?" sentì dirsi
"Dopo verrai a cena con me" enunciò Luke.

" Mh e tu saresti? " ribadì la signora che sedeva accanto a Luke, sua madre data l'increibile somiglianza.
Indossava un abito di raso rosso e i capelli biondi, come quelli del figlio, erano intrecciati e tempestati di piccole pietre preziose.
Gli occhi però erano molto più scuri rispetto al ragazzo, ricordavano il mare di notte.
"Michael, signora, Michael Evans" rispose il moro, dopo la millesima volta che la domanda gli era stata posta, cercando di mantenere la calma.
Gli altri ospiti del tavolo iniziarono a parlare di affari, mega ville, feste e di altri tizi che, molto probabilmente, non erano in viaggio con loro.
Michael e Luke non smettevano di guardarsi, entrambi catturati dai loro sguardi.
Successe che, di scatto, Luke si alzò e trascinò Michael fuori.
Il ragazzo stringeva le dita intorno al suo polso, le nocche bianche, nessuna parola proveniva dalla sua bocca. Regnava il silenzio che veniva interrotto dal rumore dei loro passi.
"Ero stanco di sentirli, ogni sera parlano sempre dello stesso argomento, non si stancano mai" buttò all'improvviso Luke.
I suoi occhi erano velati di tristezza, stava per scoppiare e una grossa espressione d'infelicità aveva preso il sopravvento sul suo volto sempre sorridente.
Michael continuava a fissare il mare.
La notte lo aveva colorato di blu e le stelle si riflettevano vanitosamente in esso. Sembrava una scena di qualche romanzo d'amore, quelli che avrebbe sempre voluto imparare a leggere, ma non aveva mai trovato nessuno disposto ad insegnarglielo.
"Sai Luke, molte volte mi è capitato di desiderare di essere al tuo posto, insomma, bella vita, soldi, casa e cibo. Cosa volere di meglio? Ma poi stasera mi hai fatto cambiare idea, vedi tu hai tutto, ma solo una cosa ti manca, la felicità. E puoi avere tutti i beni materiali di sto mondo, ma se non sei felice, allora non servono a niente"
Il biondo si avvicinò paurosamente al ragazzo e lo abbracciò, gli stampò un leggero bacio sulle labbra.
Sapevano di fumo ed erano così morbide che le avrebbe baciate per ore.
"Con te sto bene" si lasciò sfuggire Luke.
Michael lo guardò incuriosito, poi sul suo volto comparì un sorriso, così luminoso che le stelle, in confronto, non erano niente. Il suo sorriso, porca la madonna, faceva sfigurare il paradiso, pensò Luke.
"D-dici sul serio?"
"Si e credimi non ho mai provato nulla di così forte e ti giuro che appena arriveremo a New York, mollerò tutti e starò per sempre con te. Affitteremo un bel appartamento in centro, passeremo i pomeriggi a Central Park, andremo a pattinare e adotteremo un bel cane, un barboncino bianco esattamente."
Michael si morse le labbra inferiori e rinchiuse tra le sue braccia quel ragazzo, provava qualcosa di forte per lui, un sentimento che andava oltre all'amore.
Lo sollevò in aria e gli rubò un ennesimo bacio, per lui questo fu il meglio di tutti, perché per una volta, entrambi avevano voglia di darselo.
"Dormi con me stasera?" domandò Luke. Era agitato, aveva paura della risposta di Michael, poteva farsi una strana idea su di lui.
"Solo se non mi fai dormire per terra" fu questa la risposta del ragazzo ed entrambi scoppiarono a ridere.

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