Prologo

226 15 7
                                    


Logan


<Allora, ricapitoliamo.>
Con uno sbuffo sposto i capelli che mi sono finiti davanti agli occhi, è la terza volta che mi ingombrano la visuale, forse dovrei tagliarli.
Oggi è una giornata del cazzo, non che ultimamente ne abbia avute di buone.
Stanotte non ho dormito, come sempre negli ultimi sette mesi, avrei bisogno di una doccia e di una tazza di caffè fumante.
Questo posto puzza come una fogna, sono tutto sudato, e lo stronzo che ho davanti trema come una formica davanti a una scarpa.
Patetico.
<Gli dovevi dei soldi, è corretto?>
Mentre annuisce gli scola della saliva dal labbro inferiore, tiene la bocca aperta come se qualcosa dovesse entrarci dentro da un momento all’altro.
È così spaventato che temo possa pisciarsi nei pantaloni, eppure non gli ho ancora torto un capello.
Certo, sono entrato nel loculo che chiama casa sfondando la porta e puntandogli una pistola contro, ma poi l’ho fatto sedere su un divano lercio e gli ho anche sorriso.
<Perché gli dovevi dei soldi?>
Le sue labbra continuano a tremare come se fosse in procinto di ibernazione, ma è agosto e fuori fanno quaranta gradi.
<Per documenti, signore.>
Signore.
Mi ha preso per uno sbirro?
Solo ora mi prendo la briga di osservarlo meglio. Evidentemente è un clandestino, ecco perché gli servivano dei documenti falsi.
<E dove vi siete incontrati?>
Inclino la testa e studio la pistola che ho tra le mani. È scarica, ovviamente, questo moscerino non vale una delle mie pallottole.
<Io no parlato con lui, signore.>
Ancora con questo signore, mi fa venire il prurito.
Il suo accento poi, mi fa venire voglia di sbattergli in faccia un libro di grammatica.
<Io lasciato soldi nel bagno di ristorante.>
Resisto all’istinto di imprecare e prendere a pugni qualcosa, o qualcuno.
Conosco quel ristorante, ci sono già stato, ma tutte le volte non ho trovato niente.
<E in che modo hanno comunicato con te?>
Per fortuna non può sentire i miei pensieri, perché in questo momento sto pregando affinché qualche dio addormentato mi dia un segno.
<Messaggi, signore. Messaggi senza nome.>
Mi scosto di scatto dal mobile cadente su cui stavo appoggiato, e il cretino sussulta portandosi le mani davanti alla faccia.
Patetico verme terrorizzato.
Mi avvicino a lui lentamente, e un sorriso sadico mi colora le labbra.
Amo vederli tremare davanti a me, spaventati a morte.
Con la punta della pistola mi faccio spazio tra le sue mani alzate, e gli alzo il mento, finché non mi guarda.
I suoi occhi sono accesi di paura, le labbra tremano, il petto si alza e si abbassa veloce, le dita si aprono e si chiudono in maniera involontaria.
Tutto in lui prova paura ora, ed io ne sono la causa.
<Sei stato inutile.>
Gli confesso, ed evito di mettermi ad urlare.
<Ti prego non uccidere me.>
Un ghigno mi scappa di bocca, e un’energia fantasma sale dal pavimento e mi entra nelle ossa.
<Chiedimelo meglio.>
Lo invito, alzandogli ancora un po’ il viso premendo la punta della pistola.
<Non uccidere me, signore. Per favore.>
Ora mi piace.
Inclino la testa, come se stessi valutando il da farsi, e lui continua a tremare come una foglia mossa dal vento.
Io sono il vento, ora, e lui è alla mia mercé.
<Coglione.>
Borbotto, allontanando la pistola e girandomi verso l’uscita.
L’ennesimo buco nell’acqua.
Anche stavolta torno a casa a mani vuote.
Sono sette mesi che conduco questa vita, è come se un verme succhia anime avesse preso pieno possesso del mio cervello.
Quasi non ricordo più com’era la mia esistenza prima.
A volte il ricordo fugace di baci rubati, di lentiggini chiare e di capelli rossi come le fiamme, fa capolino nella mia testa.
Però io non mi concedo mai il lusso di soffermarmi su quei ricordi.
Sono una macchina ora, ho un obbiettivo e nulla al mondo potrà impedirmi di raggiungerlo.
Avevo otto anni quando vidi morire qualcuno per la prima volta.
Mia madre era dolce, era il tipo di donna con quel profumo inconfondibile e confortante che ti fa sentire al sicuro.
I suoi occhi per me erano stelle luminose, e le sue mani tra i miei capelli mi facevano sentire il sapore dell’amore sulle labbra.
Mi faceva nascondere nell’armadio quando mio padre tornava con la luna storta, lei lo sapeva sempre, anche prima che lui mettesse piede nel vialetto.
Quella notte nessuno di noi due poteva sapere che sarebbe stata l’ultima per lei.
Mio padre la picchiò senza riserve, senza un briciolo di pietà.
Da dentro l’armadio, sentii le sue urla e il rumore delle sue ossa mentre si rompevano.
Quando lui se ne andò, ed io uscii dall’armadio, il mio cuore si infranse in tanti piccoli pezzi che cerco ancora oggi.
Lui non tornò per una settimana, ed io rimasi lì per sette lunghi giorni.
Seduto in un angolo, le ginocchia al petto, le lacrime inarrestabili che mi rigavano le guance.
Mamma era bellissima anche in quel momento.
I suoi capelli erano luminosi finché non si sono macchiati di rosso, e a volte ho creduto di vedere i suoi occhi guardarmi.
Però il suo petto era immobile, e le sue labbra si sono fatte pian piano più chiare.
Però era bella lo stesso.
Ho dormito al suo fianco i primi giorni, ho stretto il suo corpo come se potesse ricambiarmi.
Quando lui tornò, sputò sul pavimento vicino ai nostri corpi, poi prese una birra dal frigorifero e per un po' si godette la vista.
Quella è stata la prima volta in cui il verme succhia anime si è impossessato del mio cervello, e quando le lacrime hanno smesso di scendere i miei occhi vedevano solo il volto del bastardo mentre sorrideva.
Qualcosa di oscuro mi si è posato sul cuore quel giorno.
Quando lui chiamò la polizia, e si giustificò dicendo “non so come sia potuto accadere”, il mio cuore iniziò a battere veloce.
Un mese dopo, quando lui cadde accidentalmente su uno dei miei giocattoli, battendo la testa sul tavolo della cucina che di solito era spostato più a destra, guardai la poliziotta che mi sorrideva e dissi: “non so come sia potuto accadere”.
Uccidere non è mai stato nella lista dei miei hobby, e le mie mani non si sono mai macchiate come quelle di mio padre.
Dopo di lui, non ho mai più percepito quel sapore ferroso sulla punta della lingua che sussurra la parola vendetta.
Ora le cose sono cambiate però, il verme è tornato nella mia testa, e il mio corpo è diventato quello di un soldato in guerra.
Adesso il sapore ferroso della vendetta mi stuzzica le papille gustative, ed io sono come un re senza trono che si fa spazio tra i traditori.
Non lascerò una scia di sangue alle mie spalle, perché la vendetta è un’arte, e ci vuole una certa eleganza affinché diventi un capolavoro.
Non sono un assassino, e neppure la personificazione della morte.
Ma lui l’ha fatta piangere, ha distrutto il suo cuore, l’ha costretta in ginocchio, e l’ha portata via da me.
Questi crimini non possono restare impuniti.
Tutto questo io non lo posso perdonare.

Ace of hearts Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora