Pilot

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Me ne andai.

Una sera di metà maggio decisi di prendere l'auto e viaggiare verso est, di non fermarmi fino a quando non avrei avuto bisogno di fare rifornimento.

Me ne andai perchè Beacon Hills mi stava causando del male. Stavo male dentro, pensai di avere un principio di depressione, ma non ci feci caso, anche perchè soldi da spendere per uno psicologo non ne avevo e non possedevo neanche le competenze per auto diagnosticarmi una malattia mentale.

Me ne andai perchè avevo paura di ciò che stavo iniziando a sentire per Liam; me ne andai per cercare di dimenticare lui, il nostro passato insieme e la nostra amicizia che ormai si stava trasformando in altro.

Non lo dissi a nessuno.

Nessuno doveva saperlo.

Era notte fonda quando uscii da casa di Scott che, insieme a sua madre, mi aveva gentilmente dato un posto dove stare, dato che lui mancava da Beacon Hills da un paio di mesi perchè l'università era iniziata.

Dopo la sconfitta dai cacciatori, io e Liam ci avvicinammo fin troppo. E questo mi spaventò.

Continuai a guidare senza una meta precisa, solo il buio della strada davanti a me e la luce dei fari a illuminare qualche metro alla volta.

Cercai disperatamente di non pensare, di non ricordare, di lasciare tutto alle spalle con la stessa facilità con cui stavo abbandonando Beacon Hills. Ma i pensieri erano insidiosi come radici piantate nel profondo.

Nonostante i tentativi di dimenticare o, comunque, di non pensare, i ricordi riaffiorarono poco alla volta: le notti passate insieme a Liam, gli sguardi silenziosi che dicevano più di quanto avremmo mai ammesso a parole.

Eravamo stati uniti contro il male, avevamo combattuto fianco a fianco quando tutti intorno a noi sembravano cadere a pezzi.

Quella battaglia e l'Anuk-ite ci avevano cambiati, entrambi. Lui era diventato più forte, più sicuro di sé, mentre io mi ritrovavo smarrito. Forse la verità è che lui si era trovato, mentre io mi ero perso.

Feci finta che quella connessione fosse normale, che il legame tra di noi fosse solo frutto delle esperienze condivise, ma sapevo che non era così. Sapevo che, nel profondo, stavo provando qualcosa di molto più complesso, qualcosa che mi spaventava al punto da non riuscire più a guardarlo negli occhi senza sentire un nodo stringermi lo stomaco.

La radio dell'auto era spenta, e la notte era talmente silenziosa da sembrarmi irreale, come se fossi l'unico essere vivente su quella strada deserta, sul pianeta addirittura.

Mi tornò in mente l'ultima volta che avevo visto Liam, poco prima di tornare a casa. Ricordavo ogni dettaglio: il modo in cui aveva sorriso, le parole gentili, la sensazione di conforto che la sua presenza mi dava, un conforto che ormai mi faceva paura.

"Domani ti aspetto, così mi aiuti a prepare la presentazione per biologia, lo sai che faccio schifo." Mi aveva detto. Me l'aveva ricordato e non so il perché. Lui sapeva benissimo che fossi, e sono tutt'ora, una persona troppo perfettina per dimenticarsi appuntamenti o cose da fare, soprattutto quando riguardavano lui.

Guidavo da ore, e il pensiero di fermarmi iniziava a farsi strada, ma temevo che se mi fossi fermato sarebbero riemersi tutti i sentimenti che avevo cercato di sotterrare. Quella parte di me che non potevo più ignorare, che mi urlava di tornare indietro, di non scappare.

Ma per quanto mi facesse male ammetterlo, sapevo che non potevo più restare. Stavo scappando, ancora.

BLUEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora