Capitolo 2: segreti che ritornano

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Il silenzio nella foresta era opprimente. Solo il vento, che faceva frusciare le foglie, accompagnava i cinque ragazzi riuniti al vecchio capanno. Emma osservava gli altri uno per uno: Harper, con il suo sguardo altezzoso ma nervoso; Nate, che continuava a tamburellare con le dita sulla vecchia cassa di legno; Mason, che non riusciva a nascondere la tensione; e Lily, che fissava il pavimento come se sperasse di scomparire.

"Non possiamo far finta di niente," ripeté Emma, rompendo il silenzio. "Questo messaggio non è uno scherzo. Qualcuno sa quello che è successo ad Alana."

"Oppure qualcuno vuole farci credere di saperlo," intervenne Harper, incrociando le braccia. "Non abbiamo prove che sia vero. Potrebbe essere chiunque."

Nate sbuffò. "Certo, perché tutti a Havenwood mandano messaggi criptici ricordandoci i nostri peggiori incubi. Smettila di negare l'evidenza, Harper."

"State calmi," disse Mason, la voce calma ma con un'ombra di irritazione. "Litigare non serve a nulla. Dobbiamo capire chi sta giocando con noi."

Emma rimase in silenzio, ma il messaggio che aveva ricevuto continuava a rimbombarle nella testa. "Benvenuta a casa, Emma. Sai cosa hai fatto." Non l'aveva mostrato agli altri. Non ancora.

Dopo una discussione inconcludente, decisero di tornare alle loro case. Ma quella notte nessuno dormì tranquillo.

Emma si rigirò nel letto, fissando il soffitto. Ogni angolo della sua stanza sembrava carico di ricordi di Alana: le serate passate a ridere fino alle lacrime, i sogni condivisi. Ma insieme ai ricordi belli c'erano anche quelli più oscuri, quelli che Emma cercava disperatamente di tenere sepolti.

Alle 3:17 del mattino, il suo telefono vibrò sul comodino. Un nuovo messaggio.

"Non puoi scappare dalla verità, Emma. Alana meritava di più."

Emma balzò a sedere, il cuore in gola. Le mani le tremavano mentre rileggeva quelle parole. Chiunque fosse, sapeva qualcosa. Qualcosa che lei sperava fosse rimasto nascosto per sempre.

La mattina seguente, al liceo di Havenwood, la tensione era palpabile. Harper si avvicinò al suo armadietto con il sorriso smagliante che usava per mascherare la paura, ma non appena lo aprì, il sangue le si gelò nelle vene.

All'interno c'era una foto di Alana, scattata alla festa la notte in cui era scomparsa. Sul retro, scritto con un pennarello rosso, c'era una frase: "Non eri sua amica come dicevi di essere."

Harper si guardò intorno, cercando un volto familiare, ma tutti sembravano immersi nelle loro routine quotidiane. Con mani tremanti, infilò la foto nella borsa e si allontanò.

Nel pomeriggio, Emma e Nate si incontrarono al vecchio diner sulla strada principale. Non era un incontro casuale; Nate le aveva scritto chiedendo di vedersi.

"Emma, dobbiamo parlare," disse, appoggiandosi in avanti con le mani intrecciate sul tavolo.

"Anche tu hai ricevuto un messaggio?" chiese Emma, fissandolo negli occhi.

"Non proprio. Ma ho la sensazione che questi messaggi non siano casuali. Qualcuno sa qualcosa, e non è solo per spaventarci."

Emma esitò. Aveva sempre saputo che Nate era il più diretto del gruppo, ma non era pronta a condividere tutto. Non ancora.

"Chi pensi che possa essere?" domandò, cercando di mantenere la voce ferma.

Nate si strinse nelle spalle. "Potrebbe essere chiunque. Ma ho una teoria: chiunque sia, era alla festa quella notte. E se vuole farci sentire in colpa, vuol dire che sa qualcosa che nessuno di noi ha mai detto."

Emma sentì il panico crescere dentro di lei. Quella notte era un labirinto di ricordi confusi e oscuri, ma c'era una cosa che sapeva con certezza: non avrebbe potuto confessare il suo segreto. Non a Nate, non a nessuno.

Quella sera, un altro messaggio arrivò a tutti loro contemporaneamente:
"Le bugie sono come nodi. E i nodi, prima o poi, si stringono."

E con quel messaggio arrivò un link a un video. Era sgranato, ma chiaro abbastanza da riconoscere il viso di Alana. Era stata ripresa la notte della festa, mentre discuteva con qualcuno nel buio.

Qualcuno che assomigliava terribilmente a uno di loro.

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