Capitolo 6

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PAURA, BABY CAKE?

L'auto aveva iniziato ad accelerare la sua velocità in maniera vertiginosa, ma Louis sembrava non volerne sapere nulla di voler togliere il piede da quel dannato pedale.

Passammo tutto il viaggio senza aprire bocca.

Non avevo ancora capito qual era il gusto che si poteva provare nel vedere una persona soffrire, nello spingerla al limite, nel portarla alle lacrime, ma arrivai alla conclusione che non ci sarei mai arrivata.

Louis Tomlinson era ufficialmente diventato un mistero per me.

Non ci volle molto tempo prima che la vecchia auto raggiunse il vialetto che accomunava le nostre case.

«Here we are» mormorò, scazzato come non mai, con qualche tratto che tradussi come delusione dipinto sul volto. Aveva in mente qualcosa, il che non era esattamente rassicurante.

Louis sbloccò gli sportelli, scendendo con me dall'auto.

Bussai freneticamente alla porta, essere in casa mia mi faceva sentire protetta.

Sulla soglia comparve mio padre, in tutta la sua evidente goffaggine, che però aveva assunto un'espressione alquanto seria.

«Louis. Come mai qui?» l'espressione dura sul suo volto diede spazio allo sbigottimento che lo dominava.

«Oh, stavo tornando a casa ma ho incontrato sua figlia e ho deciso di venire a salutarla» spiegò con nonchalance.

Lo guardai sconvolta, la sua incredibile abilità nel mentire avrebbe ingannato chiunque.

Era bello ed anche dannato, due qualità che prese singolarmente significavano l'opposto, ma che abbinate creavano un misto di violenza, curiosità e spavento.

«Certo. Entra se vuoi» lo invitò mio padre, con quella che poteva sembrare più un invito forzato che per simpatia.

Venimmo rapidamente assorbiti dal tepore della mia casa e mi saltarono alle orecchie le urla delle due gemelline, provenienti dal piano di sopra.

«Benvenuta ufficialmente fra le marionette di Louis Tomlinson, tesoro» mi sussurrò.

LOUIS.

Mi trovavo sprofondato nella poltrona del soggiorno, intento a scrutare la mia vicina di casa in ogni minimo dettaglio, mentre il signor Fox tornava in salotto con un vassoio reggente delle tazze di tè fumante, proprio quello di cui avevo bisogno.

«Peggie, noi due dobbiamo parlare» disse con aria severa.

Cazzo, pensai, qui si mette male per la mia gattina.

Lo sguardo del signor Fox tornò serio ed impassibile.

«Ho incontrato la professoressa Duncan oggi, mentre tornavo dal lavoro».

Le prime parole dell'inizio di quel discorso non erano state affatto promettenti.

«Mi ha detto delle tue difficoltà. Perché non me ne hai parlato?»

L'uomo passò una mano sulla guancia della ragazza, che abbassò lo sguardo a quel contatto.

«Peg, non aver paura, tu devi parlare con me» la invitò, afferrandole le mani apparentemente gelide.

Prese fiato mentre la mia lingua veniva bruciata dal calore della bevanda che stavo sorseggiando.

«Da quando non c'è più mamma sei cambiata, non ti capisco più» ammise, con un velo di rammarico.

Il signor Fox si sedette sul divano, accanto alla figlia.

«Io ti voglio bene, sappilo» confessò, a bassa voce, come se fosse stato un grande segreto. Quelle parole estremamente dolci vennero sprigionate nel tempo di un abbraccio.

«Fatto sta che adesso dovremmo trovare qualcuno che possa seguirti attentamente, devi recuperare in questa materia» sussurrò e sospirò profondamente.

«E serve anche qualcuno che stia con te durante la mia assenza, qualcuno che possa seguire soprattutto le tue sorelline, hanno bisogno di qualcuno a cui fare riferimento, è difficile solo per te-»

Lo interruppi senza ascoltare altro.

«Io» cinguettai. «Io potrei farlo. Ho dei buoni voti -nonostante abbia perso l'anno più volte e in più Bailee e Cecily sono davvero delle brave bambine, andiamo d'accordo ed io, ecco, diciamo che sono già buone amiche di Olive», proposi, cercando di non risultare troppo sfacciato.

Notai che Peggie mi riservava uno sguardo sbalordito e terrorizzato, amavo quando lo faceva.

«Non mi sembra una buona idea, Louis. Avrai anche tu da studiare e poi le bambine sono alquanto impegnative da gestire» controbatté, abbassando lo sguardo concentrato al pavimento che ricopriva la stanza.

«Ma una babysitter verrebbe a costare un occhio della testa. Io lo farei gratis. O solamente per poche sterline, intendiamoci» precisai, convinto che adesso mi avrebbe dato conferma. I soldi erano l'ultima mia preoccupazione in quel preciso momento.

E così fu.

Non ci pensò molto prima di darmi conferma: il suo fiuto era quello di un compratore che aveva appena concluso un ottimo affare.

Un enorme sorriso si aprì sul mio volto alle parole dell'uomo, dato che i pezzi del mio piano stavano lentamente venendo a combaciare: avevo tutto nelle mie mani.

Perché avevo Peggie nelle mie mani.

Shy || L.T.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora