Prologo

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" Mamma, tu morirai?"
" No, Marco, io non morirò ."
La tua voce calma, come se stessi rispondendo a una domanda qualsiasi.
" Ma mamma,io ho paura che tu muori."
" Tranquillo. Io non morirò."
Era caldo, quel pomeriggio di giugno. Il sole entrava prepotente nella nostra casa di Cagliari, gettando la sua luce bianchissima sui mobili,sui divani, sui tavoli della cucina,con la tovaglia plastificata a fiori, sui bicchieri lasciati accanto al lavello ad asciugare,sui miei giocattoli riposti sopra le mensole e che ormai cominciavo a ignorare,sul letto attrezzato per accompagnarti in quell'ultima tappa della vita. E mentre l'estate dei miei dieci anni era alle porte -bella come bella può essere in Sardegna- tu ti facevi sempre più piccola. Una piccola donna di quaranta chili e ventotto anni appena,con ancora tutta la sua tempra,tutta la sua lucidità,ma che bisognava sollevare a prendere in braccio come una bambina, perché non riuscivo più ad alzarti da sola. Io lo vedevo che stavi male,mamma, lo vedevo che stavi sempre peggio.
Se tu però avevi detto:" Tranquillo.Io non morirò",doveva essere proprio così. Perché tu non mi dicevi mai bugie,e sopratutto perché tu,per me-per me che ero la tua ombra che ti seguivo ovunque andassi,sempre attaccato alla gonna,col tuo odore che mi guidava,dolce e autorevole-, eri davvero invincibile.
Invincibile come Superman,che ha superudito,supervista ,e che nessuno potrà sconfiggere mai. Neppure la malattia.
Invincibile come lo è ogni mamma per il suo bambino.

Per questo non ci credetti quel giorno,a zio Carlo,quando disse a me e a mio fratello Federico:"Volete salutare la mamma? Sta volando in cielo".
Quel giorno ci avevano portato a pranzo da alcuni vicini. Era una cosa che accadeva spesi ,quindi non mi ero stupito più di tanto . È così avevo mangiato il mio piatto di spaghetti con il pomodoro ragionando solo su quali cartoni animati guardare quel pomeriggio alla TV.
Sapevo che c'erano delle difficoltà,a casa, ma pensavo che se la dovessero sbrigare gli adulti.
Quella volta,però,il pomeriggio si era fatto lungo,lunghissimo,senza che nessuno venisse a prenderci per riportarci a casa, per riportarci da te.
Finché arrivarono le 8 di sera -il sole stava per tramontare in quell'inizio di vela stagione - e lo zio e Stefano ,il tuo compagno, vennero a prenderci.
Ci fecero salire in macchina. Avevano entrambi una faccia cupa,che mi preoccupó. Più del solito.
È il mio pensiero andò subito a te. Perché la mia sola,grande paura era che tu stessi peggio, che dimagrissi ancora,che i tuoi capelli non ricrescessero più lunghi e folti come un tempo. Quando ci affondavo le mani in cerca di un tuo bacio.
Poi quella frase,venuta a rompere il silenzio tra di noi.
"Volete salutare la mamma? Sta volando in cielo."
"Cosa sta c'è dicendo?" ricordo di aver pensato un po' irritato. "Mamma sta male,però ha detto che non morirà. E se lo ha detto lei vuol dire che è vero."
Arrivammo a casa. Il sole ormai era scomparso dietro i palazzi. La sua luce non si posava su tutte le cose che avevano fatto di quelle quattro mura la nostra,bellissima,amatissima casa.
C'era una lampada accesa nella tua stanza . Tutti riuniti attorno al letto. I mie nonni,zia Cristina e zia Sabrina:la mia famiglia e altri parenti meno stretti. Tutti che si voltarono verso di noi,al nostro arrivo,accompagnati dallo zio è da Stefano, come da due guardie che ci scortavano dentro il mondo della realtà.
Un mondo in cui la mamma non è Superman, ma una donna-una ragazza,ancora-, che in quel momento stava davvero volando in cielo.
Tu eri nel letto,inerte,gli occhi bianchi,in coma. Incapace di sentire me , tuo figlio ,che allungava la mano verso il tuo braccio,in quella calda serata di giugno,e lo sentiva freddo,ghiacciato.
"Mamma" dissi avvicinandomi di lì a te.
Ma in quel momento una zia mi zittì con uno "Sst" che mi blocco lo stomaco. Una stilettata dolorosa.
"Perché devi stare in silenzio?" pensai con rabbia. Io che avevo voglia di parlarti ancora, di raccontarti, di ascoltarti raccontare raccontare, di ridere insieme a te,di cantare a due voci le canzoni che amavi ,scegliendo uno a caso fra i tuoi CD: Vasco Rossi, i Litfiba,Lucio Battisti.
Perché dovevo stare in silenzio? Perché non potevo cercare di farti sentire la mia voce? Davvero non eri più in grado di sentirmi?
Anche in quel mondo della realtà,io a questa cosa non potevo crederci. Non VOLEVO crederci.
La mia voce,in qualche modo, doveva arrivarti.
Un'ora dopo , tu eri volata in cielo.

Quella fu un'estate più o meno come le altre.
L'estate è una stagione strana , in cui il mondo-specie per un ragazzino-si ferma. In cui non esistono la sveglia del mattino, la colazione consumata in fretta e controvoglia,lo spazzolino da denti, i vestiti preparati la sera prima e ripiegati sullo schienale della sedia, lo zaino pesante sulle spalle,la campanella di inizio delle lezioni,i banchi,i compagni, è tutto il resto. D'estate il sole guida la giornata ,senza ce ci sia bisogno di avere un orologio sottomano. C'erano i giochi,gli amici, il mare,la zia e la non a che chiamavano per il pranzo. C'erano un sacco di cose a non farmi ricordare che mancava qualcosa di grande, di immenso nella mia vita . Mancavi tu, mamma.
Me ne dovetti accorgere con l'inizio della scuola. Quando le maestre cominciarono a trattarmi con gentilezza tutta particolare. Quando i miei compagni di classe furono invitati a non farmi domande.
Non ero più un bambino come tutti gli altri . Non c'era più la mia mamma ad applaudirmi durante le recite scolastiche . Così come non c'era più nei tempi sulle vacanze natalizie, nè ai ricevimenti con gli insegnanti, dove invece si presentava una bellissima e giovanissima nonna-la nonna che insieme a sua sorella mi stava crescendo nella stessa casa in cui avevo vissuto con te.

Passavano gli anni e io crescevo.
Passavano gli anni e io sempre di più capivo.
Passavano glia anni e io maturavo dentro di me una rabbia è uno spirito di ribellione che mi avrebbe trasformato in un adolescente inquieto.
Passavano glia anni e sempre di più tu mi mancavi.
Una cosa , però, è rimasta sempre la stessa. La voce che cercavo di far arrivare sino a te, un volo a toccare il cielo, è ancora più su.
Cantavo sempre.
Andavo a scuola e tornando da scuola. Tanto che la mia voce, che giungeva a metri e metri di distanza Gino alle finestre di casa, era il segnale, per mia nonna o le mie zie,che era il momento di buttare la pasta.
E continuavo a cantare- i miei artisti preferiti del momento, ma pure quelli che mi avevi insegnato ad amare tu-anche dopo pranzo,mentre mio nonno cercava,spazientito, di dormire.
Cantavo . Cantavo sempre.
Già da piccolo, a sette-otto anni,quando tu eri ancora con me , rispondevo:" Il cantante " a tutti quelli che mi volgevano la fatidica domanda :" Cisa vuoi fare da grande ?". È in quegli anni che ho cominciato a pensare di fare della musica una professione.
Di farne una vita.
Una vita da dedicare interamente a te, a te che sei , mamma , la forza mia.

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