C'era un grande,enorme silenzio nella mia infanzia.Qualcosa di cui non si parlava troppo.Ma che esisteva:una presenza-assenza che gettava un'ombra su metà della mia vita.E se anche l'affetto non mi era mai mancato,in quella famiglia fuori dal comune,a tratti chiassosa ma sempre piena d'amore,c'era una verità che non poteva essere cancellata:non avevo un papà.

Tutti gli altri bambini ce l'avevano,un papà.

Uno con cui scendere in cortile a giocare a pallone,con cui imparare ad andare in bicicletta.Uno che ti sgridava sul serio,con la voce grossa,e senza la dolcezza di una mamma.

I miei compagni di scuola,mentre imparavano a scrivere in quelle prime settimane,parlavano sempre del loro papà,di ciò che avevano fatto con lui,dei posti che avevano visitato insieme:una spiaggia lontana,una passeggiata in montagna col cappellino a proteggere dal sole,una città visitata scattando fotografie su fotografie.

A me,invece,non restava che chiudere la bocca,in un silenzio pieno di fastidio e invidia nei confronti dei miei coetanei.

Sapevo,però,che un papà esisteva.E tutti,in casa,me ne parlavano bene.Anche mia madre me ne parlava bene.Quando chiedevo di lui,mi rispondevano che al momento non poteva essere lì,che chissà,forse un giorno....insomma,rimanevano sul vago.Nella speranza,ora lo so,che mio padre un giorno o l'altro si materializzasse davvero e che lui,io e mio fratello riuscissimo a instaurare un rapporto che non poggiasse sull'odio e sul rancore.

Conoscere mio padre era,quindi,uno dei miei più grandi desideri.

Così,quando un giorno di fine maggio la nonna se ne tornò a casa annunciando a me e a mio fratello:"Bambini,lunedì viene a trovarvi vostro padre",io appresi la notizia con gioia che per poco non mi fece esplodere il petto.Le cose -lo avrei scoperto anni più tardi- erano andate nel seguente modo:la nonna era entrata nel negozio di parrucchieri in cui lavorava il papà,e lo aveva affrontato a muso duro:"I bambini chiedono di te,vogliono conoscerti.Possibile che non riesce a trovare un momento per venire a trovarli?Possibile che non ne vuoi sapere proprio nulla?"

Perchè questo era mio padre,in fondo.Un ragazzo un pò cresciuto,un irresponsabile che aveva messo al mondo due figli,ma dei quali non sembrava neppure ricordarsi.E non perchè vivesse all'altro capo del mondo.Papà viveva a Cagliari come noi.Papà era vicino,vicinissimo.Eppure i suoi figli sembravano essere lontani anni luce dal suo cuore.

Comunque,quella volta,lui rispose di si.Il lunedì è il giorno di riposo dei parrucchieri e lui,quel lunedì,o almeno una parte,lo avrebbe dedicato a noi.

Finalmente,proprio mentre l'anno scolastico volgeva ormai al termine e dopo aver ingoiato amaro per mesi,avrei potuto raccontare anch'io ai mie compagni di classe qualcosa su di lui.E quel lunedì,a scuola,quasi lo feci:"Ehi,sai che oggi pomeriggio alle tre viene a trovarmi mio papà?".Qualcosa,però,mi trattenne:quella gioia che al momento della notizia sembrava incontenibile,la stavo ora tenendo a bada dentro di me.Perchè un sospetta di infelicità,che non tutto sarebbe andato come io speravo,già mi covava dentro.

Ma lo stesso ero felice.

Tornato da scuola,mangiai rapidissimamente,come se evitare ma masticare i bocconi facesse andare più veloci le lancette dell'orologio,quindi scelsi i miei vestiti migliori.

Dovevo essere elegante per lui.Vedendomi,avrebbe dovuto pensare:"Che bel figlio che ho!".E io gli avrei sorriso.E lui non si sarebbe voluto mai più separare da me.

Così dissi a mamma che volevo indossare la camicia bianca a righe,quella che per nessun motivo al mondo potevo sporcare,e i pantaloncini azzurri col risvolto.E in più le scarpette di vernice con le fibbie.

Pronto come per le grandi occasioni -e quello lo era-,le chiesi se potevo aspettare papà seduto sul marciapiede,davanti casa.Lei mi disse che si,potevo farlo,e di tanto in tanto la vedevo affacciarsi alla finestra per controllare che fossi ancora lì.

Mio fratello era molto più rilassato di me.L'idea di incontrare papà non sembrava eccitarlo fino a quel punto.

Andava e veniva dalla strada e mi diceva:"Torna dentro,dai".E io gli rispondevo:"Ma no,ora papà arriva.Che fai,non lo aspetti qua?".Perchè papà,ai miei occhi,meritava un comitato d'accoglienza con tutti i crismi,e con entrambi i suoi figli.Non capivo Perchè la gioia che sentivo dentro io non lo provasse anche lui.

E,sotto quel sole,ogni automobile che passava per la nostra via del borgo un uomo al volante poteva essere la sua.Solo che quelle automobili,invece di fermarsi,tiravano puntualmente dritto.Una piccola delusione dopo l'altra.E in tanto si erano fatte le tre e mezzo.Di lui,neanche l'ombra.Poi si fecero lo quattro.E alla fine le quattro e mezzo.La camicetta bianca a righe si era un pò spiegazzata,stando lì seduto,e il retro dei pantaloni si era sporcato,a contatto con l'asfalto polveroso.

Ma all'improvviso,ecco che una macchina grigia si ferma.Parcheggia.

Ne scende un uomo.Che fa il giro anche dall'altro lato per chiudere tutte le portiere.

E quell'uomo si avvicina,viene nella mia direzione.

E' lui.E' papà.

Io mi alzo,non m'importa niente se i vestiti non sono più perfetti.Sarò bellissimo lo stesso.E lui vorrà stare per sempre con me.

Gli vado incontro -un trottolino alto circa un metro- e lo abbraccio,le mie mani che si allacciano dietro le sue gambe.

"Ciao papà"gli dico.La voce non è rotta dall'emozione.E' una voce che trabocca felicità.

Perchè,alla fine,sono insieme a lui.

Poi,quell'uomo,con delicatezza,mi allontana da sè. "Io non sono tuo padre"mi dice con tono gentile.

E in quel momento sento la voce di mia madre:"Mi scusi,il bambino ha molta fantasia....Marco,su,entra in casa".

Tutta la gioia che fino a un attimo prima mi traboccava dagli occhi,dalla pelle,dalle labbra pronte a gridare:"Papà,papà,papà",svanì in un attimo.Come quando in un cartone animato la strega fa un incantesimo e,bum,qualcosa scompare,in una nuvoletta di fumo grigia che presto si disperde nell'aria.

Ricordo solo che in quell'istante capii una cosa:che,quel giorno,mio padre non sarebbe mai arivato.Non sarebbe servito a niente lisciarsi la camicetta,darsi una scrollata ai pantaloni,e rimettersi pazientemente ad attenderlo,lì sul marciapiede.

Faceva bene mio fratello a non essere eccitato come me.

E avevo fatto bene io,quella mattina,a non annunciare ai quattro venti che,finalmente,avevo un papà.Perchè quel papà -che era un concetto vago,quasi un sogno,ai miei occhi da bambino- io non ce l'avrei mai avuto.Sarei stato sempre diverso dagli altri.

Il sogno si era infranto lì,sul marciapiede di fronte a casa.

In quella casa,dove tu,mamma,avevi cercato di ritagliare per me e mio fratello un pezzo di mondo felice,protetto,in cui non ci mancasse mai nulla.

Corsi dentro e piansi per due giorni di fila,la testa schiacciata sul cuscino,pochi i bocconi che riuscivi a farmi madre giù.Ed erano bocconi sempre salati,bagnati dalle lacrime grosse e infinite di un bambino di sei anni.Mia madre vegliò su di me,arrabbiata più che mai.Perchè era come se papà ci avesse abbandonati una seconda volta.E questo,davvero,non glielo poteva perdonare.Poi,come per magia,riemersi dal quel pianto che sembrava non doversi esaurire mai.

Ma da quel giorno io non chiesi più nulla di mio padre.

Mai.

Per me,lui,non esisteva più.

Quel giorno,una parte della mia infanzia era definitivamente morta. 

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