Leonardo

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2 agosto 1499
"Mostrami il tuo capolavoro", dubitavo persino avesse una voce quella semplice ragazza, "si Maestro", rispose.
Il Cristo che ho di fronte, non ha pari e mi fa dubitare, che persino io gli sia lontano come tecnica, come può averlo dipinto? in una sola notte?  e come ha fatto?
"Chiedo il suo perdono Maestro", "e per cosa? per avermi superato forse?" risposi, il suo sorriso mi conforta, è quello vero, diverso, da quello che vedo brillare, ogni giorno nei suoi occhi, e che cerco con disperazione, di raffigurare. "Alexandra, parlami della tua opera", tentenna ancora, "va bene, Maestro Leonardo".
Prendo uno sgabello e lo posiziono davanti a quel magnifico Cristo, mi accorgo dell'immensa potenza che emanano i suoi occhi e vedo quelli della mia Gioconda, il confronto è impietoso, mi sento misero e vorrei distruggerla. "Lei, mi ha insegnato e sono quattro anni che lo lavoro, ogni notte, ho fatto solo come mi avete insegnato", " io non sono capace a dipingere come hai fatto, la tua tecnica è superiore alla mia, è il Cristo più Cristo mai raffigurato, ne sono certo!", i suoi occhi lacrimano, per un attimo ne sono affascinato, tanto il tempo che li ho osservati, nel mio inutile tentativo di farli vivere proprio come ogni giorno li vedo. "Dipingeremo insieme ed io sarò l'allievo", "no Maestro, non posso insegnare ciò che non ho imparato", l'umiltà è il primo segno della grandezza, che ella non sa nemmeno di possedere. "È un compito che avevo, ho passato anni di riserbo, per poter compiere ciò che lui mi ha ordinato di fare", la sua mano indica con rispetto quel volto, così potente, "lui ti ha chiesto questo?", "si Maestro", i suoi occhi faticano a rimanere sui miei, sento che deve dirmi di più, rimango silenzioso per aiutarla a prendere coraggio. "Non sono io l'autrice, ma lei Maestro, ogni giorno ho rubato un pezzo della sua immensa arte", "sono anni che provo molte tecniche, ma per ora nessuna mi ha permesso di avvicinarmi a quegli occhi, sì veritieri", mi mostra il palmo della mano, sporco di colore e minuto, per un attimo credo di aver capito il suo segreto, ma quando mi avvicino agli occhi del Cristo, capisco che non è tutto. "Puoi mostrarmi la tua tecnica sugli occhi suoi", gli indico la Gioconda, è l'unico modo che ho per capire, "non oserei mai, Maestro, è un dipinto meraviglioso", "e se te lo ordinassi?", la sua bocca si apre ed i suoi occhi zampillano su di me, "rimarrà un segreto tra di noi, non preoccuparti!" aggiungo confortandola.
Rimane immobile, rattristata; si accosta tremolando, agli occhi della mia incompiuta Gioconda, l'effetto che fa, vedere quei due volti così simili a breve distanza, mi riporta indietro di anni, quando vidi per la prima volta quel viso gelido ed inerme. Avevo chiesto che mi fosse portato un corpo di donna, giovane e morta da poco tempo, per far progredire i miei studi e confortare il magnate, sulla possibilità di sconfiggere il morbo. Sapevo che sarei stato esaudito, visto che ogni giorno, centinaia di persone, morivano nelle strade ed i corpi ardevano ammassati nelle periferie lontane, riconobbi il viso di quella ragazzina, che da bambina, scorrazzava nell'immenso castello che mi ospita ancora oggi. Ne rimasi colpito, ma non era la prima volta che studiavo i volti dei ragazzi morti, per qualche strano volere della provvidenza, erano i giovani a perire, in maggior numero rispetto agli adulti.
Presi i vetri taglienti, per iniziare a compiere il mio lavoro, dovevo estrarre le orbite. Aprii le palpebre e vidi quelle pupille dilatarsi, come fanno le gocce di pioggia quando si infrangono sulla superficie solida. Avrei dovuto provare terrore ed invece ne fui rapito, e lo sono rimasto sino ad oggi. Da allora, tento di ripetere quell'effetto, di meraviglia, e che riprovo quando la guardo. "Mostrami, e non temere di far danno", la consolo.
Mi mostra il palmo della mano, avvicino la candela ma mi fa cenno di non volerla utilizzare, si spalma un rivolo di colore, sottile a tal punto che si perde nel pigmento della sua pelle, è quasi impercettibile. Inizia ad accarezzare l'esterno dell'occhio e contemporaneamente, a soffiare con forza crescente, avverto la sua concentrazione e scompaio dalla camera. Il volto del dipinto, prende vita dal lato che sta lavorando, sento di aver capito e compio gli stessi gesti; soffio dall'altro lato disponibile, soffio sempre di più finché, mi rendo conto che mi sta osservando, "con minor forza, Maestro", ella dice con voce sensibile e premurosa. Il miracolo è compiuto, quel volto, ha preso spazio; gli occhi, ora sono vivi e sorridono.
"Non mostrerò mai questo dipinto ad alcuno, poiché non l'ho fatto io", le dico reggendo le sue mani come segno di riconoscenza", "le chiedo un azzardo Maestro", "chiedi pure Alexandra", "il Cristo", capisco all'istante cosa intende, "se fosse lei l'autore, tutti lo ammirerebbero", "non l'ho dipinto io, non ne sarei stato capace, almeno fino ad ora", "ma è il suo volere, l'ho fatto perché me lo ha ordinato e solamente la sua arte poteva riuscirci, io sono stata solo il suo pennello".
C'è qualcosa che urla dentro lei, ciò che afferma, rasenta la follia, ma per me le sue parole assumono un senso preciso. Rivedo quel volto spento, rianimarsi, torno con la mente, ancora una volta, al giorno della sua finta morte, "eri deceduta, tutti credettero ad un esperimento riuscito che ti aveva rianimata, ma non fu così, solo Dio può compiere un tale miracolo", "è stato proprio così Maestro, ho visto una luce immensa abbracciarmi, ed il Cristo sorreggermi. Il viso del Salvatore, si è confuso con il suo ed in quel momento, ho compreso la missione che mi aveva affidato."
Un tocco brusco alla porta, irrompe e fa scomparire la magia del momento. La mano di Alexandra stringe la mia, so che non lo farebbe mai, ne comprendo all'istante il motivo. Gemma avanza brandendo un coltello, più grande del suo stesso braccio, le sue intenzioni sono evidenti, ha il viso irato e rigato da rivoli di lacrime, sono certo che sta per sferrarmi un colpo deciso, "cosa fai?", gli urlo con urgenza, "come hai potuto, sono anni che nascondi quel dipinto, io dovrei essere lei, come hai potuto?", è tutto così irreale e veloce, vedo la lama saettare, un fiotto di sangue guizza copioso sulla Gioconda, imbrattandola, d'istinto mi guardo il ventre, ma non c'è traccia del coltello, mi sento trascinare a terra. Non posso vedere nulla ma solo sentire voci confuse, tra imprecazioni e lamenti.
Il corpo di lei, si sovrappone al mio e vedo il suo infinito sorriso, spegnersi, e questa volta, per sempre.

Leonardo ed il mistero della GiocondaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora