Capitolo 3

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Due giorni dopo è venerdì e mi ritrovo in piedi di fronte alla porta di casa già alle nove e un quarto. Dopo tre giorni di reclusione volontaria – che mi servivano per terminare molti lavori arretrati – oggi cercherò di racimolare qualche soldo esponendo in piazza. 

Ricontrollo per la decima volta di avere tutto il materiale che avevo preparato la sera prima e scendo fino alla metro più vicina con una tela 10x20 sottobraccio e la gente che mi spintona senza riguardo. 

Place du Tertre si trova a Montmartre quindi mi ci vogliono solo due fermate prima di arrivare e poco più di dieci minuti per sistemare cavalletti e quadri nel mio solito angolino di fronte al caffè Chez Eugène. È un posto che, in realtà, non ho scelto per mia volontà la prima volta che sono capitato qui, anzi è stato l'unico che io abbia trovato e a tutt'oggi non capisco il perché. 

Secondo me quella è la posizione migliore, e non solo perché posso fare un salto a prendere un caffè quando voglio senza perdere d'occhio le mie opere, ma perché da questo punto la fila di palazzi che circondano la piazza è interrotta in corrispondenza della viuzza adiacente e nel varco che si crea si può vedere un bellissimo squarcio di paesaggio con la collina del Sacre Coeur in lontananza e i palazzi che diradano gradualmente. 

Credo sia stato questo lo scenario che ho dipinto più spesso in questi quattro anni e sono sicuro che sarei capace di rifarlo anche ad occhi chiusi, tanto sono rimasto a fissare la cupola di quella basilica.

Mentre sistemo gli ultimi fogli sul telone bianco che ho steso a terra noto che la quantità di gente è ancora moderata, ma in effetti non sono nemmeno le undici e di qui prima di quell'ora non passa nessuno. Per questo, invece di restare con le mani in mano, mi siedo sullo sgabello di legno che Eugène mi ha permesso tempo fa di usare e inizio a fare schizzi su un album da disegno con il carboncino nero. 

Disegnare con il carboncino è una delle cose che preferisco perché posso lavorare meglio sulle sfumature ed i contorni, quindi inizio immediatamente, pur non avendo in mente un soggetto preciso. 

Nella parte bassa del foglio traccio alcune linee curve e, più sotto, due linee verticali molto marcate; poi torno in alto e abbozzo una specie di contorno ricurvo e a quel punto mi rendo conto che sto disegnando un volto. Proseguo, sempre senza pensare, lasciando che sia la mano a decidere, ed esito solo quando capisco che quell'insieme di linee messe apparentemente a casaccio sta dando forma al viso leggermente allungato di Harry Styles. 

Vorrei bloccarmi, perché a quel punto l'imbarazzo si è fatto ampiamente sentire, ma ho appena iniziato a ritoccare gli occhi e lo sguardo vaga involontariamente nella cassetta dei carboncini alla ricerca del verde giusto. Lo trovo: un verde prato acceso che, però, appena impresso su carta non rende affatto la tonalità che cercavo. 

Frugo ancora tra i colori e pesco un verde Chartreuse che potrei sfumare al centro. Ma no, non è comunque il colore che cercavo e mentre muovo freneticamente i polpastrelli di medio e anulare per vedere se sfumando di più cambi qualcosa, mi prende quasi un accidente quando sento la voce di Liam a pochi passi da me. 

"Buongiorno Lou" dice, per nulla turbato dal fatto che in quel momento sembro un malato di OCD preso da spasmi. 

In effetti, quando lavoro sui miei quadri sembro sempre un po' squilibrato ed in passato Liam me lo ha fatto notare spesso, ma poi ci si è abituato. Ecco perché mi regala un tipico sorriso dei suoi e mi porge un caffè. 

"Offerto da Eugène, mi ha minacciato di versarmi tè bollente addosso se non lo precisavo." 

Chiudo velocemente il blocco da disegno – non serve precisare che Liam non deve assolutamente vederlo, almeno finché non capirò da cosa sono stato posseduto in quel momento – e afferro la tazza con un "Grazie amico, mi stavo gelando il culo su questa seggiola." 

Boulevard of walking disasters.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora