CAPITOLO 24:

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~ Che ti hanno detto in infermeria?~ mi domandò subito Maryka appena le apparii davanti. ~ Qualcosa di grave?~

Non aveva tutti i torti a chiederselo. Probabilmente la mia espressione faceva pensare a orribili previsioni di morte e simili, ma non mi curai di tranquillizzarla. L'ora era quasi terminata, motivo per cui raccolsi il mio zaino e la mia felpa e me ne andai senza dire una parola a nessuno.
Lei, sbigottita, provò a chiamarmi, ad attirare la mia attenzione, ma io ero sorda alle sue parole come a quelle di chiunque altro, comprese le mie.
Una sola frase rimbombava nella mia testa: l'ultima che avevo udito prima di precipitare in quel baratro silenzioso dove mi trovavo ora, scioccata e ormai priva della facoltà della parola.
Ti stanno solo per spuntare le ali.
Non potevano spuntarmi le ali. Non ero pronta, non le volevo.
Elija mi aveva mostrato le sue cicatrici; non potevo neanche lontanamente pensare di ritrovarmi quegli strazi contorti sulla schiena, per non parlare del dolore che avrei dovuto soffrire.
Sentii il peso della mia condizione solo in quel momento; solo allora, con la condanna delle ali a pendermi sul collo come una ghigliottina, mi resi conto di cosa comportasse avere il sangue di una mezz'essere.

2

Nella sfortuna, ebbi la fortuna di scoprire delle ali durante la mia ultima ora di lezione insieme agli altri, così, quando ero scappata via dalla foresta mi ero rifugiata nella mia stanza, dove avevo buttato di lato zaino e felpa e mi ero gettata sul letto, in mancanza di qualsiasi altra cosa da fare.
Non riuscivo a pensare, a urlare... Nemmeno riuscivo a piangere. L'unica cosa che occupava la mia testa era immaginarmi come sarebbe stato, e nulla di ciò che mi veniva in mente pareva gradevole.
Immaginavo due specie di protuberanze allargarsi sulla mia schiena sotto alla pelle, espandersi sempre di più finché con un rumore orripilante la pelle si stracciava e le enormi ali bianche macchiate dello stesso sangue che mi si espandeva sulla schiena ne uscivano.
Avevo quella visione stampata negli occhi e potevo quasi sentire il dolore dei tagli che si aprivano.
Mi sembrava di impazzire, senza contare che ora sapevo che il male alla schiena non mi sarebbe passato fino a quando non mi fossero spuntate le ali.
Stizzita mi alzai in piedi, consapevole che di lì a poco le mie compagne di stanza sarebbero tornate. Non avevo alcuna intenzione di parlare con nessuno così, nonostante fosse specificatamente vietato, mi smaterializzai nell'ultimo luogo dove pensavo di trovare qualcuno: la biblioteca.

Freddo. Fu la prima cosa che provai quando riaprii gli occhi dopo essere apparsa nell'edificio.
C'era un piacevole silenzio tutt'intorno a me, un silenzio che mi calmò la mente ed il cuore dai pensieri di poco prima.
Ormai mi ero fatta molto più sicura nell'eseguire quell'esercizio, anche se non mi azzardavo a smaterializzarmi senza un luogo conosciuto benissimo ad aspettarmi dall'altra parte, ma la biblioteca della Highsbury mi era tutt'altro che ignota.
Girai rapidamente a destra e percorsi tutta la sezione sulle piante acquatiche del mondo, finendo col ritrovarmi in una delle zone lettura sparpagliate lì dentro.
Questa era una delle mie preferite: una grande vetrata si estendeva per tutta la sua lunghezza, illuminando le scrivanie poste davanti ad essa così come le poltrone ed i divani in velluto posizionati intorno ad un tavolino di legno lucido.
C'era un libro lì sopra, probabilmente dimenticato da uno studente.
Mi lasciai cadere su una delle soffici poltrone e presi il tomo per leggerne il titolo: Il Volo - lettura teorica.
Non ci potevo credere.
Con un ringhio di rabbia gettai il libro dov'era prima, senza risparmiarmi uno sbuffo esasperato. Adesso avevo davvero voglia di piangere.
La gola mi si strinse in una morsa e gli occhi cominciarono a bruciarmi. Sentii le ciglia inumidirsi di lacrime, che ben presto mi colarono lungo le guance fino al mento per poi cadermi sulla divisa a causa dei miei singhiozzi.
Non mi ero mai sentita tanto sola. L'angoscia mi smorzava il respiro, incrementando il dolore fisico quanto emotivo che provavo con l'unica conseguenza di farmi piangere ancora più lacrime.
Non persi tempo a tentare di asciugarmi il viso; sapevo di avere già un aspetto non proprio elegante, e l'idea di spargermi il mascara su tutta la faccia non mi allettava più di tanto.
Non riuscivo a pensare ad altro, neanche a qualunque cosa capace di farmi stare meglio, visto che non ce n'erano.
Tutti gli amici che mi ero fatta alla Highsbury mi vedevano come la ragazza più fortunata del mondo e non smettevano mai di sminuire le mie paure e i miei timori, qualsiasi fossero, e parevano dannatamente ciechi davanti ad essi.
Davano per scontato che sarei sempre stata degna del mio ruolo di mezz'essere, comportandomi in modo coraggioso ed encomiabile come ognuno di loro si aspettava facessi. La cosa peggiore era che nessuno alla Highsbury aveva mai visto altri mezz'essere oltre a me, e di conseguenza basavano tutte le loro grandi aspettative su ciò che gli era stato raccontato da chi aveva conosciuto qualcuno che aveva conosciuto l'ultimo esistito, che fosse falso o meno a loro non importava. Perché volevano tutti che diventassi l'essere che avevano sempre immaginato.
Non volevo deludere nessuno né me stessa ma la verità era che non esisteva qualcuno in grado di capirmi, di comprendere l'angoscia che mi stritolava il cuore, e cominciavo a pensare che nemmeno gli interessasse di capirmi. Volevano solo la loro mezz'essere.
Dopo un po', quando quei pensieri mi riempirono la mente, una buona dose di rabbia prese il posto della tristezza, così terminai di piangere e di disperarmi e cominciai a maledire tutti quanti, Elija per primo. Era stato lui a farmi entrare in quel mondo di esseri magici e fatine.
Mi pulii gli zigomi con il dorso della mano, rendendomi conto di quanto fosse ironica la cosa: da piccola avevo sempre desiderato di avere le ali, di poter volare nel cielo fino a toccare le stelle. Alina stessa lo sognava. E ora che mi ritrovavo l'occasione di rendere il mio desiderio realtà, ci stavo sputando sopra.

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