CAPITOLO 31:

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Aprii gli occhi; mi davano fastidio, sentivo di avere qualcosa sulle ciglia che me li faceva bruciare, così presi a sfregarli violentemente.
Mi pareva di essere su una giostra alla massima velocità talmente sentivo vorticare la testa.
Realizzai di essere sdraiata su un terreno polveroso ma pregno di uno strano calore che mi scaldava la pelle di braccia e gambe, scoperte a causa del vestito che ancora indossavo.
In ginocchio cercai di tirare giù il vestito ma mi mossi con così tanta foga che la mia testa, già in equilibrio precario, riprese a girare ancora piu forte.
Finii per terra con un tonfo sonoro, e stavolta non mi rialzai.
Rimasi sdraiata su un fianco a cercare di riprendermi, il tutto tenendo gli occhi puntati sulla parete oltre la grata di ferro che mi sbarrava la strada.
Piano piano mi convinsi di essere sottoterra, cosa che mi dava la sensazione di un cubetto di ghiaccio che mi scivolava lungo la schiena. Ma ero troppo debole per essere terrorizzata; le palpebre continuavano a calarmi sugli occhi e dopo poco la vista cominciò a farsi sfocata. La luce che continuavo a vedere sulla parete di roccia rossastra era ormai diventata una semplice macchia gialla sfarfallante.
Rinunciai e li chiusi. Ad ogni respiro potevo sentire la terra polverosa che io stessa mi soffiavo addosso accarezzarmi la guancia e solleticarmi il naso.
Aveva l'odore del sangue, quella terra, e il calore che emetteva era quasi rassicurante, ma non abbastanza da impedirmi di sussultare violentemente udenso delle grida furibonde rimbombare in lontananza.
Dei passi si avvicinavano in fretta e io, sdraiata a terra, con gli occhi chiusi e il respiro debole, feci la cosa più vigliacca e furba che mi venne in mente: mi finsi svenuta, dato che per metà praticamente lo ero.
Le urla continuavano ma le parole giungevano distorte e confuse alle mie orecchie a causa dell'eco; non capii nulla se non che a parlare erano due maschi, uno giovane e uno più vecchio.
Q

uando, dopo un po', si fecero più vicini i toni si calmarono e riuscii a comprendere cosa dicevano. O meglio, cosa l'uomo più vecchio diceva.
~ Io non avevo chiesto questo.~
Ebbi un fremito. La sua voce era dura come la roccia e calda come il fuoco. Avevo l'impressione che la terra prendesse a tremare nel momento in cui parlava.
L'altra persona tacque.
~ Era importante che non accadesse. Ora come pensi di riuscire a sistemare questo disastro?~
Ancora nessuna risposta.
L'uomo sbuffò, un suono simile a un ringhio, e ad esso seguì quello delle sbarre che si agitavano rumorosamente. Temetti che sarebbe entrato e che mi avrebbe scoperta, invece seguì il silenzio.
Cominciavo a sentire un certo affaticamento in tutti i muscoli, causato dalla tensione involontaria che irrigidiva completamente tutto il mio corpo.
~ Ti conviene tirare fuori un'idea, o questa volta saprai davvero cosa vuol dire deludermi.~

Un sussurro a malapena udibile giunse alle mie orecchie: ~ Sì...~
Poi il rumore di passi riprese e i due se ne andarono.
Restai immobile per molto tempo anche dopo che il suono regolare e ovattato dei loro piedi era cessato, terrorizzata dall'idea che qualcun'altro potesse vedermi.
Desideravo solo restare lì e non alzarmi più.
Se non si accorgono che sono sveglia non possono farmi del male, mi dicevo, e piano piano mi convinsi che quella era la miglior soluzione per il momento.
Volli immaginare di essere al sicuro, nel letto di casa mia nascosta da un molteplice strato di coperte.
Ero così intontita che ci credetti, per un po', quanto bastava per permettermi di addormentarmi.

2

Al mio risveglio potevano essere passati cinque minuti come cinque giorni; le torce alle pareti non sembravano affatto essersi consumate, cosa che mi indusse a pensare che fossero passati solo pochi minuti, ma il mio stomaco si lamentava per la fame adesso, e la gola mi si era seccata per la sete. Dovevano essere trascorse almeno alcune ore.
Confusa, allontanai lo scorrere del tempo dalla mia mente e mi trascinai fino ad arrivare alla parete cui mi addossai, senza pensare nemmeno un po' ai miei timori precedenti sull'essere scoperta.
Mi accorsi che non era solo il pavimento a diffondere calore, ma la stessa terra di cui era composta tutta quella specie di cella scaldava l'aria. Un motivo in più per restarci appoggiata.
Dopo quel sonnellino -lungo o corto che fosse stato- la testa mi si era schiarita un po', i pensieri erano più precisi e le percezioni sensoriali più chiare. Dovevo riprendermi alla svelta e capire cosa stava succedendo.
Attesi per essere sicura che nessuno stesse arrivando e mi alzai con calma e attenzione. Non tenevo particolarmente ad avere un altro giramento di testa.
Presi qualche respiro profondo tenendo gli occhi chiusi. La mano con cui mi stavo sorreggendo alla parete cominciava a bruciare, così mi costrinsi a toglierla nonostante albergasse ancora dentro di me la paura di cadere.
Solo quando dovetti reggermi in piedi da sola realizzai di avere ancora i tacchi ai piedi.
Chinandomi in avanti con estrema attenzione slacciai le cinghiette attorno alle caviglie e calciai via le scarpe, incurante del rumore.
M

i presi qualche secondo di tempo, poi decisi di esplorare quel piccolo, minuscolo, cunicolo dove ero rinchiusa.
Tenendomi sempre vicina alle pareti passeggiai, per così dire, lungo la parete opposta alle sbarre; c'era solo quella strana terra leggera e sottile.
Era chiaro fin dall'inizio che non avrei trovato nulla lì dietro, così dedicai la mia attenzione a ciò che vedevo fuori dalla cella.

Sempre rasente ai muri arrivai a pochi centimetri dalle sbarre e cercai di scorgere qualcosa nel corridoio che i due uomini avevano attraversato prima, ma senza successo.
Strinsi le mani intorno alle sbarre e cercai di sporgermi di più, ma pochi istanti dopo sentii una specie di esplosione secca e contenuta, seguita da un forte dolore ai palmi.
Venni sbalzata all'indietro e ricaddi sul sedere con un tonfo e una protesta, per non parlare del dolore all'osso sacro e al collo, ma non potei soffocare il mio grido di sorpresa nel vedere caldo sangue dal colore vivido scivolarmi tra le dita da due ferite simili a bruciature nei punti esatti in cui avevo spinto le mie mani contro le sbarre.
Ero talmente stupita e frastornata dal dolore da non essermi resa conto che il rumore di passi era tornato a farsi sentire nel corridoio.
I miei occhi saettavano dalle mie ferite alle sbarre, dalle sbarre alle ferite, e mano a mano mi si inumidivano gli occhi sempre di più fino a rendere ogni cosa sfocata.
Continuavo a sentire i passi, ma in fondo non li recepivo veramente e per questo ignorai il fatto di essere visibile e che potevo essere colta sul fatto.

Sentii aumentare il suono dei passi, chiamare il mio nome e un forte sferragliare, poi qualcuno entrò continuando a chiamarmi con voce agitata e insistente.
Mi pareva di avere dei coltelli arroventati piantati nelle mani, il dolore e le lacrime mi accecavano e quello che era entrato continuava a strillare e a strattonarmi per le spalle.
Alzai la testa e vidi un ciuffo bianco, un ciuffo che riconobbi, così come i due occhi gialli che mi fissavano spalancati.
All'improvviso smisi di pensare a qualsiasi cosa, riuscii solo a sorridere esclamando il nome di Xavier nella testa, e dicendomi che ero salva, che non sapevo come mi aveva trovata e che sarei tornata a scuola in mezzo ai miei amici, lontana da quel posto.
Lo chiamai e lui chiamò di nuovo me, sollevandomi praticamente di peso e sostenendomi.
Mi sentii prendere in braccio; Xavier uscì dalla cella e riprese a camminare svelto.
Io, invece, appoggiai la testa contro la sua spalla e chiusi gli occhi, cercando di non pensare a quanto poco quel misero vestito che avevo addosso lasciava all'immaginazione.

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