Cravatte e calze strappate

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La casa era bellissima.
Era un piccolo appartamento dipinto di bianco a un piano con un tetto nero e le grondaie color legno scuro. Attorno aveva un prato perfettamente curato con un sentierino di pietre piatte che portava al portone di fronte, anche quello nero come il tetto.
Non credevo ai miei occhi, era davvero quella la casa che aveva descritto mia madre? Ma non aveva parlato di un appartamento? Beh, forse non era molto grande ma la adoravo a prima vista. Aprii il cancelletto d'ingresso e lo varcai trascinando la mia roba. Lo richiusi e camminai verso la porta. Cercai la chiave e la inserii nella serratura: scattò.
Accesi le luci e mi trovai in un salotto con i muri verde acqua e tutti i mobili bianchi. C'erano un sacco di tende chiuse: di giorno sarebbe stato molto luminoso.
La cucina era aperta sul salotto, anche questa con i mobili bianchi. C'era un tavolo a tre posti contro il muro, e una parte del bancone aveva due sgabelli. Un arco portava ad un corridoio su cui si affacciavano 4 porte. Entrai nella prima a destra: era il bagno. Aveva le piastrelle verde acqua e uno specchio enorme sul muro. La porta opposta al bagno era una stanza matrimoniale, ma era molto grande: doveva essere quella destinata ai miei genitori.
L'altra stanza sul muro sinistro era un piccolo studio: sarebbe stato di sicuro di mio padre.
Infine, aprii la porta che doveva portare alla mia camera. Dentro vidi un letto singolo con le lenzuola lilla e tre cuscini rotondi bianchi.
C'erano una libreria, una scrivania e un divano a due posti anche quello lilla. Una grande finestra dava sul giardino, ed era coperta da una tenda bianca. Sopra al letto c'era un armadio a ponte bianco: aprii la valigia e ci sistemai tutto quello che avevo portato. Poi presi la busta delle cose della scuola ed andai in salotto a vedere cosa mi aveva lasciato Mandie.
Mi sedetti sullo sgabello davanti al bancone e aprii la busta. In poco tempo capii che la mia scuola era vicina a casa, 2 fermate dell'autobus. Era mista, durava 5 anni e aveva un uniforme. Cominciavo il giorno dopo. L'orario diceva che avrei avuto 6 ore: filosofia, arte, teatro, matematica, letteratura e chimica. Come in quasi tutte le scuole americane, avrei avuto compagni diversi in tutte le lezioni. Quindi avrei dovuto incontrare un sacco di sconosciuti. Nella busta della scuola c'era anche una tessera magnetica che mi sarebbe servita per identificarmi all'entrata, usare l'armadietto e pagare il cibo. La misi da parte. Poi aprii il sacco che mi aveva preparato Mandie: c'erano dei biglietti dell'autobus, dei quaderni, un paio di penne, una borsa a tracolla, l'uniforme e le scarpe da scuola. Mia madre doveva averle detto esattamente cosa comprare. L'uniforme era costituita da una gonna grigia, una camicia bianca, una cravatta nera e rossa, un pullover nero e una giacchetta a blazer rossa. Tutta insieme faceva un bell'effetto. Me la sarei provata l'indomani, ero troppo stanca. Mi lavai i denti in fretta e furia, mi misi il pigiama e mi infilai nel letto morbido. Misi la sveglia e mi addormentai subito, stressata per la lunga giornata.
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Mi svegliai alle 6:30, pronta per cominciare. In pigiama, arrivai in cucina. Mi feci una tazza di tè (menomale che c'era un paio di bustine). Avevo una fame tremenda: la sera prima non avevo neanche pensato di sfamarmi. Mangiai tre fette di toast col burro e lo yogurt. Finito il tutto, mollai le stoviglie e i piatti nel lavello e corsi in stanza. Presi l'occorrente e andai a prepararmi. Mi misi le calze nere che avevo trovato con l'uniforme, la camicia bianca, la gonna, il pullover e la cravatta. Sembravo troppo una brava ragazza. Mi arrotolai le maniche e mi alzai un po' la gonna sui fianchi. Mi misi le scarpe e misi il fiocco dei lacci nascosto sotto la linguetta. Mi allentai la cravatta e mi scompigliai la treccia laterale che mi ero fatta. Mi misi il rossetto rosso e uno strato abbondante di matita nera sugli occhi. Gli occhiali davano un tocco da hipster, e mi piaceva. Mi lavai i denti e presi la borsa con dentro il Pass di scuola, i quaderni, le penne, i biglietti dell'autobus e altra roba che avevo buttato dentro. Mi infilai il blazer, arrotolai le maniche anche di questo e uscii dalla casa. Uscendo dal cancelletto, mi si intopparono le calze sul legno e si strapparono. "Grande, che bella figura che farò" pensai. Salii sull'autobus e vidi due ragazzi con la mia stessa uniforme. Loro mi ignorarono, e io feci lo stesso, infilandomi le cuffiette. Dopo 6 minuti scendemmo (prima loro, poi io) davanti alla scuola. Avevo proprio una paura matta.

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