Dylan.
Ascoltò in silenzio le parole che gli disse la preside dell'orfanotrofio, tirando su col naso qualche volta. Non voleva andarsene, e non voleva iniziare una nuova vita. Era così difficile capire per la sua preside che tutto ciò che voleva era rimanere in quell'orfanotrofio per tutto il resto della sua vita?
« Ehi » Julia si inginocchiò e lo guardò negli occhi, asciugandogli con il pollice qualche lacrima « io verrò con te, non ti lascerò. Verrò a trovarti tutti i giorni, okay? » anche se Dylan faticava a crederci, la sua tutrice stava facendo di tutto per non piangere.
La donna aprì un piccolo borsone ai suoi piedi e tirò fuori un altrettanto piccolo cappello di lana. Lo mise sulla testa del bambino e lo prese in braccio, afferrando con la mano libera la borsa sul pavimento.
Ringraziò un'altra tutrice che le aprì la porta per farla passare e sentì un improvviso vuoto quando fece tornare Dylan con i piedi per terra. Matteo uscì dalla sua macchina nera e corse verso il bambino, sorridendo a Julia.
Questa si avviò verso il veicolo e aprì il portabagagli, mettendoci dentro la borsa con gli oggetti personali del bambino. Si strofinò le mani e sentì la mestizia invaderla quando vide Matteo abbracciare Dylan e Dylan ricambiare l'abbraccio di Matteo.
E Dylan per la prima volta dopo tanto tempo si sentì a casa. Non aveva mai percepito così tanto amore in un abbraccio. Non che ricordasse.
« Ora devo firmare alcune pratiche » disse Matteo « ma prometto che ci metterò poco. Tu resta con Julia, okay? »
Il bambino annuì contento, e raggiunse la sua ormai ex responsabile. Poi il ragazzo biondo svanì all'interno dell'orfanotrofio, e Dylan si ritrovò sul sedile posteriore di una macchina vagamente simile a quella che lo aveva portato al sicuro.
Julia era seduta accanto a lui, e gli stava accarezzando i capelli. Dylan non era abituato a parlare, odiava farlo. Ma in Matteo c'era qualcosa che lo spingeva a parlare e parlare e parlare come tutti i suoi coetanei.
Venti minuti dopo tornò, e li raggiunse dentro la vettura. Mise in moto, e si avviarono verso il più vicino negozio per bambini.
Tutto ciò che Dylan avrebbe voluto compare, sarebbe finito nel carrello. Matteo era eccitato, ma era anche preoccupato che adottare un bambino alla sua veneranda età non fosse la scelta più adatta.
Parcheggiarono nel centro commerciale più vicino ed entrarono in un negozio di abbigliamento. Si avviarono al reparto bambini e Julia adocchiò alcuni vestiti di circa la stessa taglia di Dylan.
Comprarono qualche maglia, una camicia deliziosa, alcune scarpine, qualche cappotto, dei guanti, un cappello e si ripromisero di ritornare.
Si sorbirono i falsi complimenti della cassiera, a cui Dylan sorrise, perché amava sentirsi dire che era il bambino più bello del mondo - e un po' se ne stava convincendo - e poi si avviarono in un negozio di giocattoli.
Dylan posò nel carrello dodici tipi di pupazzi di dinosauri diversi, abusando della bontà di Matteo. Poi scelse le classiche costruzioni, i colori e alcune macchinine.
Julia si prese la libertà di mettere nel carrello anche una finta pista automobilistica. Tanto, Matteo non mancava a soldi.
Era un avvocato, e i suoi genitori gestivano un importante centro benessere che fruttava molti quattrini.
Passarono un pomeriggio fantastico, ma poi Julia se ne dovette andare. Matteo la lasciò davanti all'orfanotrofio e poi svoltò a destra, verso casa sua.
La stanza di Dylan era pronta, solo un po' troppo bianca. L'avrebbero dipinta in seguito, con l'aiuto degli amici di Matteo.
Una volta davanti la casa, il bambino rimase a bocca a aperta. Davvero in quella casa ci viveva solo una persona? Non era possibile.
Scese malvolentieri dall'automobile (quell'ambiente iniziava ad interessarlo) ed afferrò la mano di Matteo.
« Vedrai, ti piacerà » disse lui. Dylan lo guardò con i suoi penetranti occhi verdi, e Matteo sorrise « aspettami qui, io prendo le buste »
Dylan rimase fermo, mentre Matteo si affrettava ad aprire il portabagagli. Prese quattro buste - perché più di quello le sue magre braccia non riuscivano a portare - e fece attenzione a non calpestare il bambino dai capelli color carota, troppo basso per essere visto con tutte quelle cose da portare in casa.
Erano anche andati a fare la spesa, ma Dylan aveva insistito solo per comprare delle alette di pollo.
Il peluche di un dinosauro cadde sul prato di casa Picarazzi. Dylan lo afferrò, lo guardò e pronunciò a gran voce: « Cazzaniga! »
Matteo scoppiò a ridere, facendo di tutto per non cadere per terra. Cercò nella tasca posteriore dei jeans le chiavi, aprì la porta, smise di ridere e rise ancora. « Perché Cazzaniga? »
« Perché ho sentito dire una cosa simile a Julia, qualche tempo fa » il bambino mise il broncio « non ti piace questo nome? »
« Certo che mi piace » mentì « dài, sistemiamo questa roba. È anche tardi...tu a che ora vai a dormire di solito? »
« Non so contare » Dylan seguì Matteo in cucina. Era indeciso se chiudere o meno la porta, ma preferì lasciarla aperta « ma il mio amico Giovanni sì. Possiamo portare anche lui a casa? »
Matteo rise ancora. « Mh, vedremo » fece un occhiolino al bambino, e gli diede le spalle per riempire il frigorifero con il cibo e le bevande che avevano comprato « stai fermo qui, okay? Vado a prendere le altre buste »
Dylan strinse forte l'arto del dinosauro ed annuì. Matteo tornò poco dopo, chiudendosi la porta alle spalle. Teneva a fatica cinque buste, che però scaricò in fretta sul bancone della cucina.
Incrociò le braccia e sospirò. « Allora, vuoi vedere la tua camera? È un po' piccola, ma sono sicuro che ti piacerà. O almeno lo spero »
Il bambino annuì, poiché odiava dire "sì". Secondo lui, "sì" e "no" erano una perdita di tempo. Perché parlare quando ci si può esprimere solo chinando o scuotendo la testa?
Seguì Matteo al piano di sopra, e nel vedere la sua stanza quasi scoppiò a piangere. Era vuota, tutto sommato: conteneva solo una libreria in cui sarebbero finiti i giochi del bambino, un armadio e un letto, tutti e tre di legno.
Si immaginò la stanza con le pareti colorate d'azzurro, disegni fatti da lui e adesivi di dinosauri appesi ai muri, e il parquet pieno di giochi, i suoi giochi, che non avrebbe dovuto condividere con nessuno.
« È fantastico! » si tuffò tra le braccia di Matteo, che lo sollevò in aria per abbracciarlo meglio.
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Ehi!
Scusate se questo capitolo a fatto schifo, e scusate se ho tardato nel pubblicarlo, ma veramente non riuscivo a trovare l'ispirazione.Spero di essermi fatta perdonare:*
Siete liberi di spammare sul mio profilo "aggiorna o ti ammazzo la bottiglia" se non dovessi pubblicare il prossimo capitolo entro due settimane.
Grazie per le 400 visualizzazioni, che ritengo tante per quattro capitoli!
A presto! :*
- Julia ✨
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Dylan [IN REVISIONE]
Roman d'amourLuigi Rufini è un agente di polizia in pensione, che per trent'anni ha amato il suo lavoro come pochi. Ha dimenticato la maggior parte dei suoi casi, ma non potrà mai dimenticare il primo, un omicidio plurimo in una villetta nella periferia di Torin...