Capitolo 1

90 10 11
                                    

Piove forte a Little Kangilton. Abito in questa casa da quando sono nato e ormai so bene che con questo tempo la casa fatta interamente il legno si impregna di umidità e ne esce una puzza stagnante orribile. La mia casa non è delle migliori, ma neanche la peggiore. Nella città, poche sono le case in mattoni, al massimo 5. Altre sono baracche orribili in cui piove dentro.

Mi chiamo Alexis, spesso mi chiamano Alex, ma meglio precisare. Ho 16 anni e ne compio 17 questo Novembre.

Per me questo è uno schifo di città. Beh lo è eccome. La odio con tutto il suo cuore, la gente poi è sempre antipatica perche questo posto porta sempre tristezza. Penso spesso a scappare di casa e andarmene ad esplorare ip mondo, ma come posso lasciare mia mamma sola che da 4 anni non ha più un marito? No. Mi sarei sentito troppo in colpa. Non è da me, fare cose del genere.
Lei non è però la mia vera madre. Si chiama Anne e mi trovò appena nato, avvolto in un sacco di patate poco fuori dalla casa dove sono ora. A me non piace molto la casa di Anne, è in legno, ma un legno vecchio che schricchiola ad ogni passo e dove ogni tanto si rompe qualche asse del pavimento. È vecchia e brutta, un po' impolverata, con una cucina provvista di fornelli a gas, un portone misero di legno e senza campanello. La casa è composta da 3 stanze: cucina piccola in cui è compreso salotto (divano rozzo e una piccola tv a tubo catodico), la stanza di Anne e la mia.

La mia stanza non è male, il pavimento è ricoperto con delle assi di legno per terra con dei bei tappeti presi al mercato dell usato.

Comunque non odio solo la città in sé, ma anche la scuola che frequento. Le persone che ci sono in quella topaia sono peggio di quelle fuori. I professori poi sembrano non avere uno scopo della vita e quindi credo che insegnasse meglio una pecora.

Insomma la mia vita è proprio pessima, però mi accontento, non ho mai raccontato ad Anne tutte queste cose, per non farla stare male ovvio. Mi tengo tutto dentro, come faccio sempre.
S
mette di piovere, quindi corro subito a prendere le scarpe, il giubbotto per andare fuori. Adoro il profumo che c'è nell'aria dopo la pioggia.

Esco di corsa, ma mia mamma mi ferma urlando da camera sua "la sciarpa Alexis!",

"Non ho più tre anni" le risposi seccato.

Mi ero abbastanza stancato delle solite storie "metti questo, metti quello, ricordati quell altro".
Così ripresi a correre nel marciapiede della mia via assaporando il profumo dell'erba e dell'aria.
Era molto fresco.
Mi allontano da casa mia a piedi senza esitare. Passo in mezzo a case di miei amici, ma non ho voglia di chiamarli, voglio stare un po' da solo. C'e un bel sole adesso che risplende sui tetti scuri delle case. È davvero accecante ma per me non è un problema perché ho gli occhi molto molto scuri.
Camminando mi accorgo che mi è venuta un po' di fame e così mi fermo in un bar in cui vado di solito. Entro e saluto il proprietario (che conosco da tempo ormai) mi siedo al mio solito tavolo e ordino il mio solito panino con speck e wurstel. È buonissimo, come al solito.
Vado alla cassa per pagare e a fare due chiacchiere con Johan, il proprietario, che non vedo da molto. Ma come che arrivo davanti al bancone Johan scappa velocemente per la cucina e così rimango perplesso davanti al bancone, fermo e con ancora i soldi in mano. D'un tratto una luce piombò davanti al bar, una luce così forte che perfino io mi misi una mani davanti agli occhi.

Sento le vetrine del bar che si spaccano e una forza bianca che mi passa accanto a grande velocità e distrugge tutto ciò che trova. Piano piano riesco a togliermi le mani dagli occhi, però tutti i detriti mi stavanno venendo addosso così mi chino sotto un tavolino e vedo questo corpo bianco informe piombare a grandissima velocità da tutte le parti distruggere ogni cosa che gli capita dinanzi. Ad un certo puntò essa si ferma e con un lampo di luce sparisce. Stetti fermo qualche minuto ma a me sembrò un eternità. Non so descrivere ciò che è appena successo.
Non so  spiegare che cosa fosse quell' essere e ho paura che la gente non mi creda quando ne farò parola. Mi alzo piano piano frastornato e mi guardo intorno, mi gira la testa e per questo mi appoggio con una mano a quel poco che era rimasto di un tavolino distrutto, ma mi appoggiai con troppa forza e una scheggia mi si conficca nel dito. Senza che me ne rendessi ancora conto, un fumo nero esce dalla mia ferita che si rimargina con successo. Non capisco cosa è appena successo al mio dito. Troppe cose strane mi sono successe in troppi pochi minuti. La testa mi gira ancora di più.
Cerco di aggrapparmi alla sedia, tento di sedermi ma scivolo, cado sul pavimento ricoperto di detriti e svengo, inerme.

Markavas. La Verità. [#Wattys2016]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora