Parte terza

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"Allora? Non ci saluti? Da chi scappi, svergognata?"

Anna, in preda al panico, non riuscì più a controllare i suoi arti. Era immobile, le mancava il fiato. Era andato tutto liscio durante la mattinata, perché ora doveva incontrare questi farabutti?

"I-io non vi ho visti... sto andando a casa, non posso fare tardi."
"Oh, non ci ha visti! Ora è anche diventata cieca, oltreché tro*a. Ma non ti vergogni un po'? Dai, vai a casa che i tuoi altrimenti ti picchiano."

Presa alla sprovvista da quella loro affermazione, si trattenne dal piangere e corse via dalla scuola, attraversando in diagonale il cortile per risparmiare campo. Si fermò all'angolo della strada per riprendere il fiato, infine si fece forza e s'incamminò avventata verso la sua casa.
Ovviamente nell'abitacolo non c'era nessuno, come sempre. Anna posò lo zaino sul pavimento, corse in bagno e si guardò allo specchio. Cominciò ad avere un forte senso di angoscia, rabbia, disorientamento e voglia di fuggire. Ma per andare dove? Non poteva andare da nessuno, e se i suoi lo avessero scoperto lei sarebbe stata nei guai.
Tornò a rivedersi riflessa allo specchio. I suoi capelli erano ondulati, ma con la corsa avevano ottenuto un risultato arruffato. Iniziò lentamente a pettinarsi i capelli, finché non posò bruscamente la spazzola e scoppiò in un rumoroso pianto. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, ma nessuno le era vicino in quel momento. Tutti la detestavano, persino i suoi genitori.

Alcuni giorni prima i suoi le avevano detto di scendere giù per cenare. Nonostante la poca voglia, scese per mettere tra i denti un boccone. Suo padre non le rivolgeva più la parola, da quando sua madre lo convinse a non picchiarla per ciò che aveva fatto, benché lui ritenesse che la violenza fosse la giusta punizione per Anna. Ma né loro, tantomeno i suoi compagni di scuola sapevano che Alberto aveva detto falsità sul suo conto, raccontando ai suoi amici che lei era andata a letto con lui. Ovviamente, poi, i suoi amici hanno parlato con altri conoscenti... ed ecco che tutti lo sapevano.
Regnava il silenzio, prima che suo padre aprisse bocca dopo aver bevuto un sorso di vino.

"Anna, ci è stato riferito che effettivamente hai fatto quella cosa con Alberto. E non solo con lui. Noi vogliamo delle spiegazioni, non tolleriamo simili comportamenti nella nostra famiglia. Dovresti, essendo femmina, avere anche un po' di orgoglio e ritenere preziosa la tua verginità. Non pensi un po' a come stanno i tuoi poveri genitori nel sentirsi dire certe cose? Cosa dovremmo fare, buttarti fuori da casa?"

A quelle parole, sia Anna che sua madre trasalirono. Evidentemente quelle parole avevano colpito entrambe, forse perché i suoi genitori non avevano discusso in precedenza di non aprire l'argomento con la loro unica figlia.

"Chi è stato?"

Chiese Anna, quasi in un sussurro. Si meravigliò che i suoi l'abbiamo sentita parlare.

"Un uccellino."

A quella risposta, Anna non seppe se la stessero prendendo in giro od era un modo per alleviare la tensione creatasi dall'ultima affermazione di suo padre. Nel dubbio, non rispose. 
Continuarono a mangiare, e quando erano sul punto di concludere la cena, il padre fece un'altra intrusione al silenzio.

"Anna, cosa vuoi fare da grande?"
"In che senso...? Vorrei diventare psicologa, perché?"
"Ah, no. Chiedevo solo. Sai, pensavo che fosse un altro il mestiere adatto a te; sai, quello da marciapiede."

Detto ciò, suo padre uscì dalla porta d'ingresso. Anna si sentì presa, come se la sua vita non avesse più alcun senso. 

In quel momento, piangendo e rivedendo quella triste persona riflessa nello specchio del suo bagno, si sentì nuovamente in preda al panico.  Quei ricordi non facevano altro che peggiorare la sua mente annebbiata, tanto che cominciò, quasi involontariamente, ad inferirsi dolore.

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