Capitolo 2: Mi presento...

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Mi presento: mi chiamo Alexa Brown, ho 17 anni e non conosco i miei genitori; fin da quando ho memoria sono cresciuta in una specie di orfanotrofio che però non era un vero e proprio orfanotrofio; era più un posto dove i genitori che non avevano molto tempo per badare ai figli, li scaricavano in questa enorme casa.

Una donna che lavorava lì, sentì suonare al portone e quando andò a vedere trovò me: ero dentro ad un cestino da pic-nic avvolta in una coperta con solo un pupazzo e una lettera dei miei genitori e un assegno da 10 mila euro: c’era scritto che non potevano tenermi per questioni economiche e problemi in famiglia e che non sarebbe stato giusto farmi crescere nella loro famiglia per questioni a me sconosciute, e che se avessi provato a cercarli sarebbe stato inutile, e per finire un nome: quello di mia madre :Lea.

Da bambina sognavo sempre di trovarmela davanti all’entrata dell’orfanotrofio sentendomi dire che le mancavo, che ora era tutto a posto economicamente e che  potevo finalmente far parte della loro famiglia, ma purtroppo quel giorno non arrivò mai!

Passavo ogni giorno in quel maledetto orribile posto che odiavo: studiavo li, mangiavo li, dormivo li e  gli altri bambini non mi stavano simpatici anzi mi trattavano tutti male e mi chiamavano orfana, se non uno; si chiamava Samuel, aveva due anni più di me ed era sempre protettivo nei miei confronti, e anche lui come me, odiava quel posto e non vedeva l’ora di andarsene.

Qualche volta insieme avevamo provato a scappare ma non sapevo come ci beccavano sempre, poi col tempo ho scoperto che le spille che ci facevano indossare sugli abiti in realtà erano tipo GPS per rintracciarci se ci allontanavamo, e quando Samuel cercò di scappare per  la millesima volta con me , ci trovarono e portarono Samuel lontano da me e dopo quel giorno, non lo rividi più.

Gli anni passarono e io cercai ogni modo per scappare da quel lurido posto e cercare i miei veri genitori e ritrovare il mio migliore amico Samuel che è stato come un fratello per me ma con pochi risultati finche non compii 16 anni e fui praticamente “buttata” fuori con mio sollievo da quell’incubo che le streghe che ci lavoravano dentro osavano chiamarlo ‘casa’.

Non ci misi molto a trovarmi un lavoro e un piccolo monolocale che coi pochi soldi che mi avevano lasciato i miei genitori riuscii a pagarlo, feci in fretta amicizia con tutti i dipendenti del bar e imparai anche abbastanza in fretta a preparare caffè, servire ciò che veniva ordinato e tutto il resto.

Mi trovavo bene li, per me era come la famiglia che non ho mai avuto e la paga era pure buona. Insomma non potevo lamentarmi fino a che una sera staccai tardi dal lavoro e uscì dal retro nel bar dove c’erano solo case abbandonate (sembrava tutto un altro mondo) e li trovai un camioncino mal ridotto; sentii dei passi dietro di me e mi girai quando un uomo mi tirò un pugno nello stomaco e mi mise un sacco in testa e mi legò i polsi, successe tutto così in fretta, poi mi gettò nel camion e dopo vuoto, non mi ricordavo più niente del tragitto, e quando mi svegliai, speravo che fosse tutto un sogno ma non lo era.

Ero sopra ad un letto, coi polsi e le caviglie legate ad ogni angolo del letto, non vedevo un granché, c’era molto scuro nella stanza quando di scatto si accese la luce  e sentii una voce di un uomo che mi diceva di stare calma, che era tutto a posto, che non mi avevano fatto niente di che e poi silenzio, poco dopo entrò un uomo alto, muscoloso, tutto tatuato e con un frustino in una mano e una specie di corda nell’altra.

Finì per stuprarmi, mi violentò così forte da farmi gemere dal dolore, non provavo altro che dolore su dolore, dal basso ventre perdevo sangue e l’uomo ‘King Kong ‘ non faceva altro che frustarmi e spingere, avevo la bocca bloccata con una specie di corda con una palla in bocca e gli occhi gonfi di lacrime, avevo paura che dopo mi uccidesse ma non lo fece, anzi mi disse una frase strana “ringrazia tuo padre per questo” e successivamente mi prese e mi buttò fuori da una fabbrica abbandonata lasciandomi su una strada vuota.

Ero sporca di sangue,tutta sudata, tutta addolorante e solo con la biancheria intima addosso e avevo appena subito una violenza; se prima ero spaventata adesso lo ero ancora di più, quel mostro si era portato via l’unica cosa che era ancora di mia proprietà: la mia verginità e a quanto ho capito mi conoscevano e sembrava che conoscano anche mio padre, sapevano dove lavoravo e ero totalmente dispersa, non sapevo ne da che parte andare ne dove mi trovavo e nemmeno che giorno era e come ultima sfiga non avevo nemmeno la mia borsetta con dentro tutti i miei documenti e il mio cellulare ma per fortuna non me lo avevano rubato ma l’avevo lasciata a casa, sbadata come sono.

Mi diressi verso una strada un po’ affollata, beh insomma con qualche anima e chiesi in giro se qualcuno avesse un euro da darmi, ma nessuno me lo diede: gli facevo paura, se mi vedevano attraversavano la strada oppure si giravano da un’altra parte mentre un altro ancora mi andò contro una spalla e finì col sedere per terra, e il mondo mi crollò  addosso, le lacrime iniziarono a scorrere copiose sulle mie guance, fino a che non sentii un rumore di  una moneta che cadde per terra, così alzai il viso e vidi un bambino che mi salutava e capii che l’euro che era caduto, me lo aveva lanciato lui; che Dio ringrazi, anzi benedica quel santissimo bambino.

Raccolsi l’euro e più veloce possibile corsi verso la prima cabina telefonica che avevo visto qualche isolato prima, buttai l’euro dentro e pigiai il numero, gli squilli partirono e per un pezzo solo quelli, ormai non ci speravo più quando sentii la sua voce:

“pronto chi parla?”

“Kevin sono Alexa, ti prego aiutami”

“ Alexa dove sei?? Cosa è successo?? Perché mi chiami da una cabina telefonica?? “

“ kevin mi trovo in una via il nome non lo so, ma è dove si trova un negozio per abiti per bambini,il negozio  si chiama: bei bambini, ti prego trova la via, vienimi a prendere”

“ Ok Ale adesso arrivo, tu calmati aspettami sul marciapiede, e non muoverti da …”

Poi cadde la linea; ‘cazzo’ mi lamentai tra me e me.
Speravo seriamente che Kevin venisse.

La ragazza che viveva tra le nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora