Il Posto

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Il mercoledì per Sherlock era un giorno si e no.
Era si perchè c'era musica, durante la quale si poteva esercitare con il suo adorato violino, e no perché c'era ginnastica. Non che non fosse bravo, pensava solo che avrebbe potuto impiegare due ora alla settimana a fare di meglio di provare a colpire delle persone piú forte possibile con una palla. Gli piaceva la corsa, ma non quella dove bisogna girare in tondo fino a che non stai per svenire, ma la corsa sotto la pioggia o sotto il sole, girando tra vicoli o sulle piú grandi strade, tra i mercatini provando a far perdere le tracce. In pallacanestro era piuttosto bravo, ma solo grazie all'altezza.
Stava per suonare la campanella, e lui stava saltando la corda. O almeno lo avrebbe dovuto fare. Ormai aveva rinunciato, e stava seduto in un angolo con un libro in mano. Amava molto leggere, ma ogni tanto iniziava a pensare e a leggere insieme e perdeva il filo della storia.
Il suono della campanella lo distolse dai suoi pensieri. Chiuse il libro con un sospiro e entrò nello spogliatoio maschile. Si cambiò in un angolo. Sinceramente pensava di essere piuttosto bello, con due occhi azzurro ghiaccio e i capelli neri, ma gli sembrava una cosa piuttosto inutile, e non se ne curava piú di tanto.
Mentre stava per uscire con la sacca nera dei vestiti sulle spalle sentì una mano sulla spalla che lo tirava dietro. Si girò e vide il volto di uno dei bulli della classe.
<<Cosa ti é venuto in mente di spifferare alla prof. che sapevo già le risposte del test>> disse aumentando la stretta sulla spalla. Gli stava facendo male, ma il suo volto rimase impassibile.
<<Io gliel'ho solo fatto notare, se fosse stata intelligente lo avrebbe capito da sola>> Disse con la voce glaciale che faceva impallidire persino i professori.
<<Beh la prossima volta non farglielo notare, Strambo>> Strambo era un nomignolo che gli avevano dato quando aveva undici anni e i suoi strani nodi di fare e la sua intelligenza gli avevano dato un'aura di paura e una estrema solitudine.
Senza dire una parola, Sherlock si liberò da quella stretta, e camminò con tutta calma verso l'uscita, come se non fosse successo niente. Appena girata la prima curva fuori dalla scuola, Sherlock si mise a correre.
Non sapeva nenache dove stesse correndo, sentiva semplicemente di doverlo fare. Ma per quanto veloce corresse, i giorni di solitudine, nei quali a volte non parlava con nessuno per una settimana, gli ripomabavano addosso.
Dopo un po' trovò un vicolo cieco. Non sapendo cosa fare, si lasciò scivolare contro la parete e si nascose la testa tra le mani. Dopo un po' rialzò la testa e vide una scala che saliva su per quella che gli sembrava una vecchia soffitta di una casa abbandonata. Incuriosito, salì la scala ed entrò in una soffitta. Dentro era polveroso e cadente, con le travi che pendevano. Delle coperte erano ammucchiate da un lato, con una specie di lampada ad olia attaccata a un vecchio gancio che dava l'impressione di rischiare di cadere da un momento all'altra. All'occhio attenti di Sherlock non sfuggì il fatto che quelle coperte erano state messe di proposito non troppo tempo fa. Su accoccolò sulla pila di coperte e rimase li fino a quando non perse la cognizione del tempo. Dopo si alzò, controllò il suo inseparabile orologio e ridiscese le scale. Ma prima si ripromise una cosa, sarebbe tornato li.

Il primo amore di Sherlock HolmesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora