La fine dell'inizio

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Non vedo, la gente non vede quando muore ?
La gente pensa quando muore?
La gente capisce di morire quando muore?
Non lo so, non ho risposte, solo dubbi e domande, solo insicurezze. Non conosco il mio sesso, non so autodefinirmi, ignoro il mio modo di fare e la mia personalità, sconosco il mio sorriso, il modo di gesticolare, le mie opinioni, le mie esperienze, le lezioni impartite dalla vita...
Praticamente ho perso me stessa o me stesso..
Però ricordo i meccanismi, ricordo tutti i sintomi dell'amore, ricordo cosa vuol dire tristezza, ricordo frasi, proverbi, ricordo date, ricordo guerre.
Chissà quanti anni ho? Ho partecipato a qualche guerra? Ho dei nipoti? Chissà cosa faccio nella vita? Ci sarà qualcuno a cui manco?
Ho uno strano pensiero in mente.
Mi suggerisce anzi mi ordina di fare attenzione alle persone.
Chiazze di colore si espandono con cura sul mio campo visivo fino a diventare nitide. L'uomo che mi sta esaminando ha il monociglio, i denti ingialliti dal fumo e la pelle raggrinzita è costellata da migliaia di rughe, qualcosa mi suggerisce che non sono dovute soltanto agli orari lavorativi relativamente rigidi degli ospedali ma maggiormente una vita piatta e senza gioia.
L'infermiere mi ordina di svegliarmi, vorrei chiamarlo Giacomo, ma non me la sento di imporgli un nome, non è un cane e se anche fosse,non avrei il diritto di affidare un nome neanche ad un animale, i nomi sono importanti, non sono tutto, ma sono importanti. E il mio qual'è ?
L'abisso inghiotte la mia mente come i Nox inabissarono la città di nebbia. Che bizzarri fatti rimembro! Non so neanche di che sto parlando, è forse la mia mente, per consuetudine a formulare tali paragoni?
Questo voci di medici, infermieri, persone con le loro banali e a modo loro diverse vite, mi stanno innervosendo. Mi vien voglia di alzarmi, mandarli a fanculo e andare a fare la stramberie per le strade. Era forse mia abitudine?
Si stanno incazzando, per incazzarsi in questo modo mi devono aver conosciuto.
Un barlume di speranza illumina la mia mente.
- Voi sapete chi sono?-dico sorridendo come un ebete, ma sembro parlare con me stesso/a.
Ma che cazzo faccio? porcabuttana comportati normalmente.
Riscuoto l'attenzione dei dottori, che mi pongono svariate domande, rispondo in modo impreciso. Mai dare informazioni e opinioni precise agli psicologi, valutano ogni tua parola e sfumatura. C'è chi ti ascolta e non capendoti continua ad ascoltarti e poi c'è chi ti ascolta pesando le tue parole, misurandole, esaminandole, giudicandole.
Provo a racimolare qualche informazione sul mio conto,ma dopo essere giunti,alla "brillante" conclusione, che soffro di una perdita della memoria temporanea,hanno deciso di farmi seguire un programma di riabilitazione e hanno deciso che rivelarmi informazioni è proibito in quanto si rileverebbe dannoso e poco idoneo alla terapia.
Istintivamente non mi fido degli ospedali, riecheggia nella mia testa la voce di una donna, forse mia moglie o forse mia madre magari mia figlia, mi rivela che, gli ospedali fanno più danno che altro, dopotutto in queste strutture decadenti, con questi medici corrotti, primari con dottoresse raccomandate che gli graffiano la schiena, mentre in preda ad un orgasmo urla all'infinito il suo nome e nella porta accanto riposano o muoiono fiori troppo appassiti, con troppo sfumature di vecchiaia sui propri petali, con l'esperienza di una vita ma spesso la testa di handicap oppure nella stanza accanto risiede una bambina, taglia i capelli alla sua bambola, la bambola le ha detto che i suoi sono bellissimi e che li vuole come lei, allora la bambina le taglia i capelli fino alla radice e poi rasa anche quella, si specchia nella pelata della bambola, esamina io proprio lavoro e la vede brutta, si vede brutta, i capelli sono la goccia che fa traboccare io vaso, i suoi bellissimi capelli neri e lucenti, ricci e sbarazzini, si abbinavano perfettamente ai suoi occhi di giada. Allora piange e i suoi gemiti si confondono i gemiti di due "ragazzini" irresponsabili e ninfomani.
Ora che fanno?
Stanno uscendo! Mi lasciano in compagnia dei miei dubbi e della mia confusione, in questa stanza bianca. Si vede, si sente, si ode che questo ospedale non è impeccabile, anzi tutt'altro. Ma sarei appena rinvenuto dall'aldilà e sono leggermente scioccato, non chiedo tanto, pretendo solo un parente, una persona cara, qualcuno che vedendomi scoppi in lacrime e mi abbracci. Chiedo tanto ?
A quanto pare si.
Passo il tempo contando i minuti, le ore e i secondi. Lo sgocciolio persistente del rubinetto del misero bagno accanto mi da i nervi. Ma mi sono resa conto di non eccellere nella matematica. Buono a sapersi. Il cielo si scurisce e nonostante io sia cullata dal canto delle civette ,voglio risposte e una cena più abbondante rispetto a quella servita. Mi fermo a guardare le stelle, so di averne viste di migliori lo sento eppure questa volta sembrano così belle e complesse , nonostante la spiegazione scientifica perfettamente chiara ,emersa dai meandri della mia mente di recente. La mia curiosità ha vinto la battaglia contro il mio pudore durante queste ore. Non c'è niente di male. Ho il diritto di sapere se sono maschio o femmina. Il mio petto non ha protuberanze quindi suppongo di essere maschio, ma appena tasto la sotto mi accorgo di essere una ragazza, anche anoressica aggiungerei.
Passo il resto del tempo a giocherellare con quella ciocca biondo cenere che mi arriva appena sotto il mento. E io che pensavo di essere un ragazzo hippy e vegano. Notizie shockanti per una ragazzina anoressica. Forse sono un'indossatrice ?
Se io sono un indossatrice l'infermiera porta cibo è alta due metri e sessanta.
Non mi danno abbastanza cibo, io ho fame. Provo a chiamare qualcuno con l'intenzione di ruffianare del cibo. Mi avvicinò alla porta e non sento rumori, stranamente so come muovermi, so dove solitamente si trovano le cucine dei reparti, so che li preparano il caffè e chiacchierano e visto che lo so ci vado e mi prendo il cibo.
Ritorno in stanza ho paura di essere scoperta perciò mi chiudo in camera. Mi ingozzo, il mio stomaco dopo non aver ricevuto altro che zuccheri in fiale non regge, rigurgito il suo contenuto sporcando la tazza , il bagno e me stessa. Per un attimo rimango lì, sporca e immersa nel mio vomito, sono solo una ragazza senza nome, senza vita, senza persone. E dopo questa consapevolezza mi abbandono ad un pianto disperato, devo smetterla di giocare. Sono così debole, ho bisogno di qualcuno che mi stringa e mi dica " ehi io ti voglio felice perché ti amo". Ma al momento c'è solo un infermiera grossa quanto uno yacht, mi solleva come niente fosse e grida a qualcuno di venire ad occuparsi di me. Una donnetta che sembra propensa a sfornare dolci e bambini mi chiede se voglio lavarmi da sola in tono zuccheroso. Annuisco e prometto di non combinare guaii. Mi fa schifo farmi la doccia in questo posto, ma mi fa ancora più schifo essere ricoperta di vomito. Il mio vomito

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