Pazzia

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Correvo, non so dove stessi andando ma correvo nel buio. Ero circondata ormai, sentivo le loro presenze, percepivo il fiato pesante che mi perseguitava. Ero sconfitta, in un vicolo cieco.  Milioni di mani, artigli si protassero verso di me scanditi da rumori lenti e pedanti, sempre più forti, sempre più insistenti , soffocanti. Mi accovaciai e urlai ma il suono bloccò perfino la mia voce. Ero spettatrice della mia morte. Guardai avanti nel buio quel muoversi sinistro, quell'avanzare lugubre. Mi abbandonai alla morsa dei mostri.

Mi svegliai.
Era troppo presto,  fin troppo presto, come sempre da anni. Eppure era troppo tardi per riprendere a dormire e anche se avessi potuto, non avrei assolutamente richiuso gli occhi.
Troppi incubi, una realtà irrazionale e scenari macabri mi accompagnavano da quando ne ho memoria.  Sebbene fossi abituata a simili incontri nei meandri della mia mente, cercavo sempre di limitare le visite forzate nel mio subconscio.  Quando ero piccola poi, mi rifiutavo addirittura di dormire sorbendo ogni sera le bugie di mia madre sul come, se mi fossi comportata bene, avrei evitato tutti gli incubi. Ma loro si ripresentavano, erano sempre lì a farmi del male e né i miei genitori né i mille psicologi con cui parlavo potevano risolverli. Dopo diagnosi terribili e medicine contro lo stress, l'ansia e tutti i tipi di malattie possibili mi ritrovavo sola e stanca a combattere contro me stessa e con la mia testa, cercando di non parlare molto con gli altri di questo piccolo ingranaggio rotto della macchina Cervello. 

Mi alzai barcollando per il solito giro di ricognizione in casa. Ero completamente sola anche se erano a stento le sette del mattino. La nebbia lieve e il freddo fuori non impedivano di certo ai miei genitori di andarsene indisturbati senza nemmeno curarsi di salutare o perlomeno lasciare un biglietto. Non avevano altri figli, dopo aver capito che in me c'era qualcosa che non andava non volevano ripetere lo stesso sbaglio. E non era una supposizione quella ma l'argomento principale delle loro discussioni nel cuore della notte.

Dopo la solita routine mattutina e un'occhiata allo specchio piena di rassegnazione per il mio consueto aspetto, avviai la prima playlist sul cellulare e uscii. Hannah era in ritardo, come sempre, faceva parte della routine. Era una ragazza che , se sola, riusciva a condurre un discorso più o meno sensato. Ma in genere la sua intelligenza si arrestava appena  le "femmine alfa dell'accademia" , con cui se la faceva, decidevano di spegnere con il loro magico telecomando la sua esistenza. A contatto con quelle oche diventava un pupazzo, una marionetta senza spirito di iniziativa e libertà di pensiero. A scuola più o meno, le ragazze erano tutte così,  tutte erano la copia di altre, lo spettro di una persona diversa, il risultato di altre menti.

E mentre ero bagnata da fiumi di pensieri, con la faccia nascosta tra i ricci e le orecchie occupate ad ascoltare qualche buona canzone rock, sentii una voce che superò perfino il volume alto del brano: 
《Karen muoviti dobbiamo andare, smettila di perdere tempo!》
Era una voce strana, odiosa,  quasi malefica che non avevo mai sentito prima. Eppure sembrava familiare ma quel tono era stranamente contorto, quasi demoniaco. Sbandai e alzai lo sguardo.
Tra i biondi capelli di Hannah c'era qualcosa che mi fece rabbrividire di orrore e urlare. Guardai con gli occhi sbarrati , tremando per l'angoscia di veder proiettati i miei incubi nella realtà, o forse ,mi dissi, stavo davvero sognando.  Davanti a me c'era la marionetta Hannah , il volto statico e i fili flessibili di un pupazzo da spettacolo, la fisionomia di un umano nelle sembianze di una bambola assassina. 

Mirrored ~ La specchiataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora