Occhi di specchio

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Ero in ritardo, il grande portone in legno era chiuso. Nonostante le mura spesse sentivo dall'esterno un mormorio diverso dal solito. Aprii, socchiusi, alzai lo sguardo: nel grande atrio non c'era nessuno. La luce inondava la stanza e si poteva notare la polvere danzare in vortici sospinta dal poco vento entrato dall'uscio.

Il mormorio era sempre presente. Sembrava qualcuno volesse sussurrarmi qualche segreto, magari il modo in cui uscire dal mio incubo. Hannah era dietro di me e si trascinò senza dirmi nulla verso la sua classe producendo un rumore legnoso. Io ero diretta nell'ala opposta, verso la classe di letteratura. Avanzai lentamente tra i raggi filtrati dai finestroni sporchi e il buio degli angoli che il sole non riusciva a toccare.

La stanza era la 101, un incubo in quattro mura. Era la classe peggiore, grande, illuminata, ma piena di odio. Le persone che si celavano dietro quella stanza in quel preciso momento erano pessime.
In quel punto il mormorio inusuale era cresciuto. Tesi ancora un po' l'orecchio, indecisa se scappare via o calarmi nell'abisso.

Bussai. Nessuna risposta. Entrai.
Il ritratto dell' Inferno si mostava dinnanzi a me. Ogni singolo individuo, ogni essere era ancor più mostruoso dei tanti che avevo incontrato nella metropolitana.
Mi fermai ad ossrvare quel caos e al contempo tutti i mostri mi osservavano con occhi sanguinosi.

"Karen, ancora in ritardo, siediti dai" disse una voce che per la prima volta nella giornata mi sembrava normale rispetto alle altre. La signorina Wild volse il volto verso di me e io riconobbi come , rispetto agli altri, ella avesse un aspetto meno mostruoso. Il suo colorito era però molto strano, quasi cadaverico, e una cavità enorme al posto del cuore lasciava intravedere gli altri organi vitali muoversi e contorcersi.

La signorina Wild era una donna sulla trentina, bella ed esile, il suo sguardo, in genere, sembrava curare ogni ferita. La stimavo, da anni in accademia rimaneva l'unico punto saldo in una vita piena di persone che andavano e venivano. Se avevo un problema, se sembravo triste o in difficoltà lei riusciva a interpretare i miei sguardi, a leggere i titoli cubitali che apparivano sulle pupille. Ma appena entrai mi accorsi come , dopo tanto tempo, io non conoscessi nulla di lei, come il suo sguardo fosse spento, diverso, senza l'usuale gioia.

Sedetti, non riuscendo a staccare i miei occhi dai burroni nelle iridi di miss Wild. Non sentivo più il chiasso di mille voci distorte, né vedevo l'abominio infernale attorno a me. Sentivo solo la voce della donna, vedevo solo la sua figura e l'angoscia in me cresceva. L'avevo sempre assillata con i miei problemi ma in quel momento avrei voluto abbracciarla e capire quello che provava, perché alla base delle ciglia c'erano celate lacrime che scendevano fino alla cavità scoperta dove un giorno prima batteva il cuore brutalmente strappato.

Con lei piangevo anche io, soffrivo anche io, morivo anche io.Non si trattava più di letteratura inglese, di autori,di libri, pagine ma semplicemente di sentimenti scoperti ed io avrei voluto evitare ,che egoistico pensiero, quello scenario. Ma allo stesso tempo avrei voluto aiutarla, salvarla dai singhiozzi. Ero in un limbo di decisioni: rimanere ad osservare pietosamente l'avvicendarsi delle lacrime o trovare un qualsiasi rimedio per renderla felice.

Ma ricordai un particolare importante: probabilmente l'unica ad essersi accorta della sua tristezza ero io e il resto della classe ,come avevo notato nel vetro della metropolitana, stava svolgendo normalmente la sua abituale lezione. E fu allora che mi soffermai con più attenzione sullo sfondo pietoso e la musica di sottofondo assordante.

C'erano una trentina di esseri mostruosi che mi accerchiavano. Una buona metà di essi si presentava come Hannah, marionette con lunghi fili casuali. Mi accorsi però che le sottili protuberanze stavolta non portavano ad un vicolo cieco ma erano in mano ai veri burattinai, i mostri più tremendi. Anche se non avessero avuto un aspetto indicibile sarebbero comunque rimasti mostri per l'assenza di umanità delle loro vite. Si trattava di un gruppo di cinque ragazzi, 3 stronze e due bulletti ignoranti, che se visti nello specchio preservavano quella bellezza purtroppo ingiustamente fornitagli. I miei occhi però vedevano di più. Le tre sgualdrinelle erano coperte di tagli, di cuciture e con un colorito emaciato, ematomi e occhi iniettati di odio. Tutto rispecchiava un comportamento orrido, un essenza pietosa. Alle loro dita arcuate e piene di verruche stavano tesi i fili, loro ,come Parche, li manovravano muovendo le falangi creando quei movimenti a scatti tanto fastidiosi. I fili poi passavano addirittura sotto la porta e si perdevano verso i corridoi, verso altre persone "marionettizzate".

I maschi avevano , invece, grosse mani callose, enormi, avrebbero potuto uccidere chiunque; il loro capo però era dannatamente piccolo e sproporzionato rispetto al corpo muscoloso. La testa quasi scompariva, la voce era stridula e il cervello... beh il cervello era ristretto anche prima della trasformazione.

Nella perdizione generale ebbi il tempo di pensare. I miei occhi in una sera erano cambiati, così come avevo sperato nei miei contorti pensieri prima di andare a letto. Erano diventati degli specchi di purezza, una sorta di scanner del comportamento e dell'animo umano. Ero in grado di capire una persona dall'esterno di vederla e non avere bisogno di parlare per sapere le loro reazioni. Ma poi mi sorse un dubbio: era tutto ciò troppo pericoloso e soprattutto, ero in pericolo io stessa? Sarei riuscita a sopportare ogni giorno la visione di realtà che non mi appartenevano?



Mirrored ~ La specchiataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora