Capitolo 2 - Daniele

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Il cellulare appoggiato sulla scrivania squillò e, distrattamente, lo afferrò per rispondere.

«Pirotta investigazioni, in cosa posso esserle utile?»

«Parlo con il signor Conti?»

«Sì, sono io. Mi dica.»

«Sono un agente della stradale di Bergamo. Sono desolato di doverle dare una brutta notizia, ma stamane c'è stato un brutto incidente e sembrerebbe che una delle vittime sia una donna che si chiama Elena Conti. Abbiamo trovato il suo numero sul cellulare e abbiamo pensato che forse lei...»

L'agente continuò con la sua spiegazione, ma ormai lui non lo stava più ascoltando.

«Oh, mio Dio!» esclamò raddrizzandosi di colpo e facendo cadere la sedia all'indietro. Fu investito da un incredibile senso di colpa per non averle dato retta. Eppure Elena era sicura di essere in pericolo. E lui che aveva fatto? Niente! Era stato troppo preso ad aiutare i suoi clienti, invece che la propria sorella.

«Mi dia l'indirizzo. Arrivo subito.»

«No. Non è necessario che venga qua a vedere la scena. La chiameremo per il riconoscimento tra qualche ora.»

«Se lo scordi, io vengo. Mi dica solo dove.»

L'agente, titubante, gli diede l'indirizzo. Sapeva che stava disobbedendo a un ordine preciso: «Niente testimoni civili e niente stampa» ma quell'uomo aveva perso la sorella e, nei suoi panni, nemmeno lui avrebbe voluto essere escluso.

In meno di mezzora fu sulla scena dell'incidente. La strada era già stata ripulita e il traffico era ripreso regolarmente.

Il carro attrezzi aveva recuperato l'auto distrutta, che non era quella di Elena, ma la scritta sul fianco indicava che apparteneva all'impresa dove lavorava. Sapeva che quando si spostava doveva usare l'auto aziendale.

Il furgone che stava cercando lui era a bordo strada e due agenti stavano caricando un pesante sacco nero. Corse da loro e chiese di mostrargli il corpo.

«Non so se possiamo» rispose uno dei due, guardandosi attorno alla ricerca del capo.

«È mia sorella: voglio vederla!» Urlò lui cercando di aprire la zip che chiudeva il sacco.

«Fermo!» La voce arrivò da lontano. «Daniele. Me lo immaginavo che fossi tu. Cosa stai cercando di fare?»

I due si conoscevano molto bene. Fusco, il commissario della polizia, anni prima era stato il collega di suo padre. Finché non fu ucciso.

«È Elena» tentò di implorarlo.

«Lo so e mi dispiace molto. Anche io le volevo bene, ma non puoi fare più niente.»

«Lasciamela almeno vedere per l'ultima volta.»

«Fidati. È meglio che tu la ricordi per come era in vita.»

«Quando era ancora tutta intera» borbottò uno degli agenti che stava assistendo alla scena, prima di rendersi conto che la battuta non era risultata divertente a nessuno.

«Sorrentini!» lo apostrofò il commissario. «Certe battute le lasci per quando non è in servizio, per cortesia.»

«Sì, signore.»

Daniele nemmeno si arrabbiò. «È così malridotta?» chiese semplicemente al commissario.

«Purtroppo sì.»

«Chi può averle fatto una cosa del genere?»

«Che stai dicendo? Ha avuto un incidente. Stava andando troppo veloce e non è riuscita a tenere la macchina in quella curva. Li vedi i segni delle ruote?»

Fidati di me - Primi capitoliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora