I capitolo

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Mars

                 

Un altro cliente. Un altro giorno passato tra chitarre, batterie, CD e dischi in vinile.

Quando anche l'ultimo ragazzino con i capelli blu e jeans strappati uscì dal negozio, fui felice di annunciare a me stessa che un'altra estenuante giornata di lavoro era finita.

Uscii dal negozio indossando ancora la polo rossa con la scritta "Musa" poco sopra il mio seno sinistro con addosso il mio pesante cappotto nero.

Derek era lì ad aspettarmi con il solito broncio.

Da quando avevo distrutto la mia meravigliosa cinquecento rosa pallido , regalo della mia splendida nonna siciliana, avevo sempre la scorta a portata di mano.

Derek era il più protettivo e il più irritabile, ma era anche il mio preferito.

"Perché hai ritardato?" mi chiese quando fui vicina a lui e alla sua Ford Mustang nero metallizzato.

Alzai gli occhi al cielo. "Dovevo chiudere il negozio, Derek." Dissi. "Non essere sempre così paranoico."

"Non sono paranoico, DM." Disse irritato. Ecco appunto. "Mi preoccupo e siamo anche in ritardo per cena."

Salii in auto senza fare storie. Sapevo che se avessi ribattuto ancora per molto, mi sarei ritrovata il suo sguardo critico e incazzato addosso per tutto il resto della fatidica cena di famiglia.

Non parlammo per tutta la durata del breve viaggio. Tra noi era sempre così.

L'unica cosa che ci univa era la musica. Il nostro unico argomento comune.

Ascoltammo "I miss you" dei Blink-182 e delle canzoni di un gruppo indie-rock che avevamo scoperto insieme da poco.

Avevamo lo stesso modo di tenere il tempo con la mano e di cantare a squarciagola le canzoni che amavamo, guardandoci e ridendo.

Quando arrivammo a casa nostra ovviamente il vialetto era pieno di auto. La chevrolet bel air del '59 rossa di Mike, la Chrysler 300C nera di Tj, la dodge coronet verde scuro di Dawson.

Le auto d'epoca erano il nostro mondo. La mia famiglia era strana ed incasinata, ma quando si parlava di auto d'epoca mettevamo da parte la rabbia, la tristezza e il rancore.

Con la perdita di Janise, la mia cinquecento rosa pallido, una parte di tutti noi era andata distrutta con quella meravigliosa auto che aveva accompagnato la mia infanzia e adolescenza.

La prima cosa che feci, quando entrai a casa, fu saltare addosso al mio vecchio, il capo branco. Il mio rugoso e affascinante padre, Andrew, stava seduto sulla poltrona verde mela, che era stata di mia madre, guardando la partita di baseball.

Mi guardò sorridendo quando decisi di staccarmi da quella morsa soffocante a cui l'avevo sottoposto.

"Come sta la mia piccola Maggie?" chiese con quel dolce sorriso nascosto dai baffi.

"Sto bene, caro. Tu come stai?" chiesi ancora seduta sulle sue ginocchia malandate.

"Sto meglio ora che sei qui." Disse. Gli diedi un bacio sulla guancia alzandomi.

"Chi sta cucinando?" chiesi un po' spaventata dalla risposta.

"Tj." Disse semplicemente. "Dice che oggi si sente ispirato."

Alzai gli occhi al cielo. "Si certo." Dissi. "Vado prima che mandi a fuoco la casa."

Lui rise scuotendo la testa.

Entrai in cucina e lo spettacolo era davvero esilarante. Tj stava piegato sull'isola della cucina, cercando di capire cosa ci fosse scritto nel libro di ricette di nonna Camilla. Aveva addosso un grembiule con su scritto "Finché ho indosso questo, sono io il BOSS".

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