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Camminava con le mani in tasca, emettendo di tanto in tanto piccoli sbuffetti che si gelavano a causa del freddo di Gennaio.

Era diretto al suo solito posto, dove poteva stare in pace e isolato dal mondo che lo circondava. Quel mondo che tanto odiava, con le sue persone tutte uguali e stupide. Cosi superficiali e scontate che si fermavano all'apparenza e non all'essere. Persone false, fatte di fumo. Che cambiavano direzione a seconda del vento che le trascinava. Persone non concrete.

Arrivò in quel tunnel che sboccava sul bellissimo oceano di Sydney.

I muri di quel posto erano pieni delle sue scritte. Frasi e frasi delle sue canzoni preferite, di quelle che lo colpivano maggiormente o, semplicemente, che spiegavano come si sentisse il giorno in cui le scriveva. Quei muri erano praticamente una parte di sé stesso.

Diede un'occhiata a quelle pareti per cercare uno spazio libero. Erano anni che andava lì, forse perché era solo in quel tunnel, tra quei muri e con la vista dell'oceano che si sentiva davvero a casa.

Si passò una mano tra i capelli scuri e poi estrasse il suo pennarello nero dalla tasca della felpa. Stappò l'oggetto e pensò alla canzone da scrivere.

Subito le note di 'Iris' si fecero spazio nella sua mente e cominciò:

"And I don't want the world to see me,

'cause I don't think that they'd understand."

Scrisse soltanto quelle parole, perché era proprio cosi che Michael Clifford si sentiva quella sera.

Non voleva essere visto dal mondo per quello che era, nessuno avrebbe capito. Si sarebbero fermati a giudicare senza nemmeno provare a comprendere.

Stava bene da solo nel suo piccolo mondo, dove nessuno poteva ferirlo. Perché le persone fanno del male. Lasciano cicatrici indelebili in noi e poi se ne vanno, come se niente fosse accaduto, come se tutto si fosse automaticamente distrutto.

E questo Michael lo sapeva bene, purtroppo.

Lo capì dal giorno in cui il padre abbandonò la famiglia, e non tornò più. Aveva 8 anni, sperava sempre che un giorno la porta si sarebbe aperta e che suo padre corresse ad abbracciarlo. Ma non successe mai, perché la vita non è una favola. Niente va come si vuole che vada.

Erano passati 10 anni, e ancora Michael pensava a quel momento e a quanto fosse stato stupido ad illudersi. Ed era per questo che aveva creato una corazza. Era per questo che non si affezionava a nessuno.

Eppure, lui si sentiva vuoto perché quello non era vivere, non veramente.

Ma infondo, lui sperava sempre che capitasse qualcosa di diverso, di nuovo. Qualcosa che lo aiutasse a poter dire che la sua, non era una vita fatta solo di respiri. Ma qualcosa di più.

Sospirò rileggendo la frase appena lasciata sul muro e, appoggiando la schiena alla parete, scivolò giù sedendosi a gambe incrociate.

Era ciò che faceva ogni giorno, la sua routine. Tornava da quello che per lui era l'inferno, la scuola, e poi si dirigeva al tunnel per scrivere la sua frase e rimaneva lì per un po'; a pensare, ad ascoltare musica e a volte anche a suonare la sua amata chitarra.

Nessuno l'avrebbe mai disturbato o tantomeno trovato nel suo posto.

O almeno cosi pensava fino a quel giorno.

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heyy :-)

Uhm questa è la prima storia che scrivo e non sapete quanto sono in ansia e tbh non so nemmeno perché. Volevo chiedervi di farmi sapere cosa ne pensate, vi amerei a vita. Grazie mille per aver cominciato a leggere questa storia, spero davvero che vi piaccia. Al prossimo capitolo!

Silvia xx

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