1||imboscata

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Vuota.
La casa era vuota.
Un po' come me.
Scesi le scale del posto in cui ero cresciuta, mentre l'unico rumore udibile era quello delle mie scarpe contro il marmo bianco.
Avevo bisogno di uscire, mi sentivo tremendamente sola, almeno stare tra la gente mi avrebbe dato l'illusione di non esserlo del tutto.
Sospirai, mentre mi affrettai a superare l'ultimo scalino.
A passo svelto andai verso la porta e presi dall'attaccapanni la mia felpa, infilandomela.

Era una felpa nera e bianca, di lana morbida dentro, con un cappuccio che mi avvolgeva la testa, con due orecchie di panda cucite sopra.

Misi la mano sulla maniglia e ci feci pressione per aprire la porta, rivelando le strade pulite illuminate dal flebile sole mattutino.
Chiusi la porta dietro di me, ed incominciai a camminare senza meta.

Sentivo lo stridire dei gabbiani; anche se ero in città quella razza di uccelli si era in qualche modo trasferita qua.

Mi girai ad osservare la mia casa.

Un'immensa villa si apriva ai miei occhi, con due colonne a costeggiare il cancello di ferro battuto dal quale ero appena uscita.

I miei genitori erano due imprenditori di successo, e li stimavo per questo, anche se non li vedevo da un mese e mezzo di fila.

Mi mancavano.
Mi mancavano le carezze di mamma e i suoi biscotti.
Mi mancava il poter giocare con i lego con papà.
Mi mancavano.

Stavano man mano scomparendo dalla mia vita, non interessandosi più a quello che facevo. Per loro potrei anche andare male a scuola. Frequentare gente poco raccomandabile, non gliene sarebbe importato nulla.

Fortunatamente avevo ancora la mia sanità mentale, tanto quanto bastava per tenere alto il nome della famiglia Etreass.

Avevo finito le superiori a undici anni, e adesso stavo facendo un master in psicologia inversa.
Si, ero una di quelle ragazzine nate con un quoziente intellettivo molto alto, quindi lo sfruttavo.

Paul Ekman era l'unico che mi capiva quando mi sentivo sola.
D'altra parte amavo anche le teorie di Stephen Hawking. La teoria del tutto, la teoria mai terminata.

Mi sistemai una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio, non distogliendo lo sguardo dal marciapiede dissestato che stavo percorrendo.

Alzai lo sguardo e vidi che avevo raggiunto un parco giochi delimitato da una staccionata in legno.

Vista l'ora mattutina non mi stupii di non vedere nessuno a parte me.
Quindi presi posto su un'altalena e cominciai a dondolarmi senza molta spinta.

"Quando ci si sente persi é normale risalire all'unica fonte di familiarità nei dintorni"

La psicologia mi dava sempre una risposta, per questo mi aveva presa così tanto. La scienza umana, perché ci sentiamo in un certo modo, e perché non in un altro. Questa era la vera bellezza dell'essere quello che siamo.
Scoprire la soluzione di un comportamento irrazionale.

Alzai lo sguardo e lasciai uno sbuffo di aria condensata. Quel giorno di ottobre faceva veramente freddo. Avrei dovuto prendere anche una maglia di lana, o un cappotto imbottito.

Un rumore.

Mi girai subito verso destra, non vedendo anima viva.
La nebbia ostruiva gran parte della mia vista, per questo assottigliai gli occhi.

Ma nulla.
Che era stato?
Assomigliava a un rametto che si spezzava, ma anche ad un corpo che si muoveva molto velocemente.

Mi rassegnai, pensando di essere finalmente diventata pazza.

Hostage || Lorenzo Ostuni (collab with @InvincibLorenzo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora