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23 aprile 2014
Da quel giorno, ogni fottutissima settimana attendevo i tre suoni del citofono, ma non arrivarono.
Andy continuò a chiedermi cosa avessi, il perché sembrassi sempre su un altro pianeta.
«I'm tired» Bugia.
La verità era che mi mancava il sapore delle tue labbra, i tuoi occhi color cioccolato che tanto mi facevano e mi fanno tutt'ora dare di matto.
Mi mancava osservarti.
Mancavi tu.
Ti sognai di notte e di giorno svegliandomi col bisogno sfrenato di averti accanto.
Una notte, passeggiando, mi trovai in una una stradina buia e desolata; un lampione in lontananza e qualche panchina sgangherata.
Persi un battito quando ti vidi seduto su una panchina con la compagnia della tua solita sigaretta tra l'indice e il medio.
L'acqua picchiettava sull'asfalto e sulle tue spalle, ma a te sembrò non importare.
O forse neanche te ne accorgesti, tanto preso ad osservare il manto scuro sopra la tua testa.
«Marco» Da dietro la panchina non vidi la tua espressione, ma da un lieve rumore capii che la sigaretta si era schiantata sull'asfalto.
«M-Michael?» Pronunciasti il mio nome con un sussurro. Neanche ti girasti.
«Così pare. Che tu fai qua?»
«Potrei farti la stessa domanda.»
Immobile.
«Passavo di qui. Tu?»
«Passavo di qui.»
Distaccato.
Sussultasti.
«Sta pioggiando. Tu sa?»
«Sì.»
«Perché non vai a casa?»
«Non mi va.»
«Marco, listen, io...»
«No, ascolta tu.» Ti alzasti improvvisamente, «Quel b-bacio è stato uno sbaglio, okay? Io n-non volevo farlo. Non sono g-gay... io, io n-non sono come te.»
Lo sguardo a terra, la voce tormentata.
«Guarda me negli occhi. Dimmi che non tu no ha provato niente e io te giura che vado via.» Il mio cuore batté ad un ritmo insostenibile.
Sembrasti una bomba in procinto di esplodere.
Intrappolasti il tuo labbro inferiore tra gli incisivi e dopo qualche secondo puntasti i tuoi occhi nei miei.
«Non... non ho provato niente.»
Krack.
Il mio cuore si frantumò in mille pezzettini.
Tutto d'un tratto.
Krack.
«Goodbye, Marco.» Infilai le mani nelle tasche del giubbino azzurro e mi allontanai.
Faceva schifo.
Tutto quello faceva schifo.
"Ora dimentico la sua voce, i suoi occhi, le sue labbra. Ora lo dimentico. Dimentico tutto ciò che provo per lui e da uomo di merda quale sono vado da Andy." Fu questo ciò che pensai. Ma qualche minuto dopo questi pensieri vennero cancellati.
Il sapore della tua bocca mi fotteva il cervello ogni volta.
Abbracciai le tue labbra con le mie in un tocco estremamente dolce ma contemporaneamente frenetico, come la velocità dei nostri battiti.
Le gocce di pioggia che scorrevano, gli schiocchi dei nostri baci e il fruscio degli alberi componevano la melodia più perfetta che potesse esistere.
Sussultasti varie volte, così allontanai le labbra dalle tue e ti sfregai i palmi delle mani sulle spalle.
«Ho paura.» Confessasti dopo attimi di silenzio.
«Di cosa?»
«Di quello che provo.»
«Tu no deve avere paura. Io te insegnarà ad amarmi. No importa se siamo due uomini. "Si può amare tutti, l'importantanza è che si ama davero" l'hai detto tu, no? E... e io ti amo.» Alzasti di colpo la testa, guardandomi con occhi spalancati e increduli.
«Voglio baciarti ancora.»
«Viene a casa mia. Please.»

Quel giorno eri il bianco.

«Il bianco simboleggia il confine che segna l'inizio della fase vitale.
Esprime speranza per il futuro, fiducia nel prossimo e nel mondo in genere.»


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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 19, 2015 ⏰

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