RUGGERO POV'
Dopo che l'amica di Cristina mi aveva rimproverato senza nessun diritto di farlo, mi avviai verso casa.
Quando finii i compiti, decisi di uscire di nuovo all'aperto, avevo decisamente bisogno di respirare un po di aria fresca.
Andai nel parco non molto lontano da casa mia, era un posto tranquillo, rilassante, in mezzo al verde, ed era un luogo perfetto per stare da soli.
Camminai per un po, fino a quando iniziai a sentire una strana sensazione, che divenne sempre più forte.
Non era esattamente una sensazione, ma era una forza che avevo già sentito, e non era per niente un buon segno, ma di solito, quelli come loro non stavano in quella zona.
Che cavolo stava succedendo?
Mi domandai.
Poi sentii una voce familiare.
"Lasciatemi andare!". Disse qualcuno gridando.
Era Cristina! Ma che ci faceva qui? Pensai.
Andai nella direzione da cui era provenuta la sua voce, e quella forza si fece più intensa, non era per niente un buon segno.
Correvo, ma adesso non sapevo più dove andare. Speravo che Cristina dicesse di nuovo qualcosa, ma c'era solo silenzio totale, forse era troppo tardi.
Poi, in mezzo agli alberi intravidi dei ragazzi, ma non capii cosa stavano facendo.
Mi avvicinai con cautela, e mi acquattai dietro l'albero. Non erano dei dormali ragazzi, ero gli Olovaid.
Che diamine ci facevano qui?
Poi vidi che stavano tenendo ferma Cristina. Ma cosa volevano da lei?
La stavano portando via, e senza pensarci un attimo, uscii dal mio nascondiglio, non si erano ancora accorti di me.
"Lasciatela andare!". Dissi, tutti e quanti si girarono nella mia direzione, sopresi di vedermi, sopratutto Cristina.
Due Olovaid la stavano tenendo ferma, e c'è n'erano altri tre.
"Guarda chi si rivede. Hai deciso di farti vivo". Disse Ciro, quanto odiavo quel ragazzo.
Senza rispondergli, mi gettai su di loro, iniziando una lotta e quando vidi che Cristina era libera le dissi di scappare.
"Scappa!". Le dissi, ma lei rimase ferma a guardarmi.
"Scappa!". Ripetei.
In quel momento, qualcosa di appuntito mi si conficcò nel braccio, provocandomi una fitta di dolorore terribile. Mi veniva da urlare, ma non lo feci, urlare non mi sarebbe servito a niente.
Ciro mi aveva conficcato un coltello nel braccio, lo tolsi, ma mi faceva un male cane e iniziò a uscrmi sangue.
"Scappa". Ripetei. Questa volta mi ascoltò, ma due Olovaid la seguirono.
Cavolo! Dovevo sbrigarmi.
Intanto dovevo sistemare Ciro e gli altri due e l'unico modo per farlo era...
"Non puoi farlo". Disse Ciro.
"Si che posso". Dissi.
"Ma non avevi detto che non lo volevi mai più fare?". Mi domandò cercando di irritarmi.
La ferita che avevo al braccio mi doleva.
"È vero. L'avevo detto, ma adesso non ho altre possibilità". Dissi.
"Invece si".
"E quale?". Domandai.
"Quella di unirti a noi". Disse Ciro.
"Lo sai che non lo farò". Dissi.
"Invece si, non puoi più sfuggire a lui. Ormai sei di sua proprietà". Disse.
"No". Risposi.
"Invece si. Hai accettato, ed io ero li presente. Non si può più tornare indietro". Disse.
Sapevo che aveva maledettamente ragione, ma comunque non volevo stare dalla loro parte.
Mi trasformai e una forza incredibile mi invase in tutto il corpo.
Di solito quando ci trasformavamo, ci veniva una terribile voglia di uccidere la gente e non avevo ancora imparato del tutto a dominare questo istinto, che di solito veniva quando mi trasformavo.
La testa all'inizio mi girava, ma mi ripresi subito.
Una terribile voglia di uccidere mi assalì.
Ma mi dovevo concentrare in quel momento.
Attaccai Ciro e gli altri, un paio li scaraventai a terra con alcuni possenti colpi della mia coda; poi li graffiai con i miei artigli.
Mi materiallizai da un luogo all'altro per confonderli. Per il momento ero in vantaggio, almeno finchè anche loro non si sarebbero trasformati.
Loro non potevano trasformarsi sena il permesso del loro Signore; in teoria neanche io, solo che avevo già specificato che non volevo stare con loro.
Dopo un po, si stancarono di lottare con me e sparirono nel nulla.
Tornai normale e il dolore al braccio tornò. Quando ci si trasforma di solito non si sente alcun dolore, se non ti feriscono quelli come te.
Cercando di ignorare il dolore, corsi nella direzione in cui era andata Cristina.
Poco dopo la vidi per terra, con i due Olovaid che la stavano per attaccare.
Mi fiondai su di loro e iniziammo a lottare.
Non ti trasformare. Non ti trasformare, non adesso che c'è lei.
Ripetei a me stesso, sennò erano guai.
Dopo un po, riuscii a stenderli entrambi e il braccio mi continuava a sanguinare senza sosta.
"Tutto a posto?". Le chiesi preoccupato.
Le porsi la mano per aiutarla ad alzarsi.
"Si. Penso di si". Disse, meno male.
Si alzò, mi guardò per un attimo.
"Stai sanguinando". Mi disse.
Mi guardai il braccio, faceva un male cane, e si, stava sanguinando parecchio. Feci una smorfia.
"Lo so, ma non è niente". Dissi, non volevo farla preoccupare troppo, però aveva capito benissimo che in realtà mi doveva fare parecchio male.
"Andiamo". Mi disse prendendomi per il bracccio buono.
"Dove mi porti?". Domandai.
"Hai bisogno di cure". Disse, immaginavo che avrebbe detto qualcosa del genere.
"Non serve, tanto adesso vado a casa". Dissi, non è che non volevo andare con lei, più che altro avevo paura di peggiorare le cose più di quanto non avessi già fatto.
"Dai, vieni". Disse.
"No!". Dissi.
"Senti, mi dispiace per...". Iniziò a dire, ma la bloccai.
"Lascia perdere". Dissi.
"Guarda che mi dispiace, davvero". Disse, sembrava sincera.
"Lascia perdere". Ripetei.
"Va bene". Disse alla fine, meno male che non aveva insistito.
In quel momento, mi invase un dolore terribile alla testa, la forza che avevo sentito prima quando mi ero trasformato ritornò.
"Trasformati". Mi diceva una voce nella mia testa, capii immediatamente chi mi stava parlando.
Era il Signore di Ciro, ovvero anche al mio al quale mi ero ribbellato.
Mi stava ordinando di trasformarmi, ma non potevo farlo davanti a lei, non potevo.
Di solito era impossibile sottrarsi ad un suo ordine, ma dovevo cercare di ignorarlo.
"Trasformati". Mi ripeteva. "Non puoi dissubbidirmi. Trasformati". Diceva.
Non mi dovevo trasformare.
In quel momento caddi in ginocchio, davanti a lei, e mi presi la testa fra le mani, per cercare di mantenere il controllo.
"Trasformati, è un ordine. Ormai sei mio!". Diceva la voce.
"No". Pensai, in modo che lui mi potesse sentire.
"Lasciami in pace". Dissi.
Il dolore alla testa aumentava e lui stava facendo di tutto perchè ubidissi.
Il vero problema non era che lei mi vedeva trasformato, per quello avevo una spiegazione da darle, il vero problema, come ho detto prima, era che quando mi trasformo avevo voglia di uccidere, e di sicuro non potevo uccidere lei.
"Tanto la ucciderai lo stesso. A lei non importa niente di te". Disse.
"Ruggero!". Sentii dire ad un certo punto.
Era Cristina.
"Ruggero!". Disse di nuovo, vedendomi in quella posizione, mi venne accanto.
Mi doveva stare lontana, non volevo rischiare.
"Trasformati e uccidila". Disse la voce.
"No!". Dissi io.
"Ruggero". Ripetè lei preoccupata.
"Stammi lontana. Stammi lontana!". Dissi quasi gridando, ma dato che lei non comprendeva quello che stava succedendo, mi rimase li vicina, rishiando di morire se mi sarei trasformato.
No, non potevo trasformarmi, mi dovevo opporre.
La testa continuava a farmi male, sempre di più e non sapevo se c'è l'avrei fatta.
"Ti ho detto di trasformarti! È un ordine! Se non lo fai tu, ti dorvò trasformare io con la forza". Disse.
Ci mancava solo questo. Pensai.
"Lasciami in pace, vattene via dalla mia testa! Lasciami in pace!!". Dissi.
Era una cosa terribile quello che mi succedeva.
Probabilmente avrebbe fatto di tutto pur che io gli ubedissi, ma io non avrei ceduto.
"Ehi". Disse Cristina preoccupata e sentii la sua mano apoggiarsi delicatamente sulla mia spalla.
Non le risposi.
Chissà a cosa stava pensando in quel momento. Probabilmente che ero diventato pazzo se mi comportavo in quel modo.
"Trasformati, trasformati". Diceva.
"No. Mai!". Dissi.
"Certo che hai fegato ad opporti a me, ragazzo". Disse, silenzio.
Attese una mia risposta ma non dissi niente.
"Mi sa che ti ci vorrà una bella lezione per farti capire chi è che comanda, ma ci sarà un momento migliore". Disse.
Di cosa stava parlando? Mi chiesi.
"Lo sai benissimo di cosa parlo, e lo sai benissimo anche che prima o poi verrai dalla mia parte. Ormai hai accettato e non puoi tornare indietro. Preparati al peggio. Sai chi sono e sai anche che quello che mi riesce meglio è far soffrire le persone. Perció preparati, ma ricordati che non è finita qui, ci rivedremo molto presto".
Non capivo subito cosa intendeva con quelle frasi, ma la risposta mi fu presto chiara.
La mia testa finalmente si liberò e lui uscì dalla mia mente. Il dolore scomparve e tutto tornò come prima, o più o meno. Adesso probabilmente Cristina si aspettava delle spiegazioni di quella mia reazione.
Tolsi via le mani dalla testa e le appoggiai per terra cercando di riprendere fiato.
La testa non mi doleva più, ma il braccio ancora si.
La sua mano era ancora appoggiata sulla mia spalla e probabilmente aspettava che io dicessi qualcosa, ma non ero in grado di dire niente, quindi rimasi in silenzio.
"Tutto a posto?". Mi domandò ancora preoccupata per me.
"Si. Penso di si". Dissi, non ero molto sicuro che tutto fosse a posto.
"Andiamo". Disse.
Mi aiutò ad alzarmi, all'inizio persi l'equilibrio, ma lei mi sostenne.
Dovevo avere un pessimo aspetto, sopratutto dopo quello che mi era successo.
"Riesci a camminare?". Mi domandò.
Forse davo l'impressione di non avere più neanche le forze per muovere un solo muscolo, in effetti era vero, ero distrutto. Mi ci era voluta una forza immensa per evitare di trasformarmi sotto un suo ordine, una forza che neanche non potete immaginare.
"Si". Dissi comunque.
"Okay. Allora vieni". Disse.
Feci un passo e per poco non caddi giù a facciata se non c'era lei che mi prese al volo.
"Sicuro di farcela?". Mi domandò.
"Si. Sono sicuro". Ripetei, anche se non era tanto vero, non sapevo se avevo la forza per camminare.
"Va bene. Se vuoi andiamo piano". Disse. Mi stava aiutando anche se non aveva la minima idea di quello che mi era successo e del mio comportamento, le dovevo un favore.
"Si. Grazie". Dissi.
Iniziammio a camminare molto lentamente, e lo stesso, ogni tanto rischiavo di cadere.
Ormai il cielo era scuro, e c'era poca gente per strada, cercammo di non farci notare troppo, anche se era difficile in quella condizione.
Non avevo la minima idea di dove mi stesse portando, e sinceramente non mi importava molto.
Adesso ero solo preoccupato per quello che sarebbe successo. Cosa avrebbe fatto Cristina domani?
Avrebbe continuato ad ignorarmi, e facendo finta di niente di quello che era successo oggi, o le cosa sarebbero cambiate?
Non avevo idea di cosa pensare.
Per tutto il tragitto lei stette in silenzio, e non mi fece nessuna domanda.
Per fortuna, sennò non avrei saputo cosa risponderle.
Dopo non so dopo quanto tempo, arrivammo davani ad una porta e ci fermammo.
"Dove siamo?". Domandai.
"A casa mia". Disse.
"E cosa penseranno i tuoi genitori vedendoti tornare a casa con un ragazzo in queste condizioni? Penseranno che sei matta". Dissi indicando me stesso.
"Non ti preoccupare. Loro non torneranno fino alle undici". Disse aprendo la porta con le chiavi.
Non dissi niente ed entrai insieme a lei che richiuse subito la porta.
"Andiamo su". Disse.
Ci trovevamo nel suo salotto.
Vidi le scale che c'erano da fare, non so se c'è l'avrei fatta.
Per fortuna, lei mi aiutò di nuovo e mi portò in una stanza, dove c'era un letto, una scrivania, un armadio e altre cose a cui non feci caso.
Probabilmente era la sua stanza.
Esausto, mi disse di sedermi sul letto.
Feci come ebbe detto.
Ero distrutto, non avevo più la forza per muovere neanche un muscolo e il braccio, devo ammettere che mi faceva malissimo.
Iniziò a girarmi la testa, poi vidi tutto nero.
Non so cosa successe dopo, probabilmente ero svenuto.
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Romanceuna storia d'amore, ma non solo. un'avventura dove Cristina incontra un vecchio amico che scopre che è stato condannato per l'eternità dal diavolo. insieme dovranno superare molte prvove in cui rischieranno la loro vita. dopo tante difficoltà, il ra...