capitolo 2

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Ero rimasto sveglio per l'ennesima volta, non avevo chiuso occhio per paura di sognare e cadere nei ripetuti incubi. Parlare con la mia coscenza era un bel passatempo, anche se quando lo facevo mi sentivo pronto per essere rinchiuso in uno ospedale psichiatrico.
Erano le sei e non c'era nessuno, anche se delle volte vedevo di scatto dei mattinieri amanti della corsa fare jogging tra i vari sentieri o percorsi di Central Park.
Mi stiracchiai, riposi la coperta nello zaino e lasciai il parco.
Le strade erano affollate, e le code del traffico infinitamente lunghe. Fiumi di persone scendevano nelle metro, oppure gesticolavano per chiamare un taxi.
Dopo aver svoltato per qualche via mi recai in un piccolo discount e comprai con le poche monete rimaste qualcosa da mangiare e da bere. Dopo, Feci un bel giro tra le vie più rinnomate di New York, spiando i bei vestiti delle vetrine.

"Ti mancano vero?" Chiese la mia coscenza quando mi fermai davanti al negozio di Valentino

"Non so di cosa tu stia parlando"

"Non fare il finto tonto, lo sai benissimo, una volta avevi l'armadio solo di questi vestiti e ora guardati... Camicia bucata e sporca, pantaloni lisi e scarpe consumate, come fai a dire che non ti manca tutto quello"

"Mmmm... Che palle che sei!! Ti ho detto che non so di cosa tu stia parlando, non ho mai posseduto nulla di tutto questo"

"PPF... Guarda che rinnegarlo a te stesso non serve a niente, tu sai di cosa sto parlando e sento che ti manca quella vita"

"NO!! Io sto bene cosi. E ORA PIANTALA"

mi girai verso la vetrina un ultima volta, era cosi pulita che mi ci potetti specchiate dentro... Ecco com'ero, capelli lunghi arricciati e sporchi, di un moro slavato, la barba incolta e il viso segnato da grosse borse e occhiaie. Ma così era Billy Brown, lasciato a se stesso, che la vita lo plasmasse a proprio piacere, senza una casa sopra alla testa, uno stipendio o un cambio di vestiti puliti, e pensare che a scegliermi quella vita ero stato proprio io, anche se non mi ero mai pentito neanche per un secondo di quella scelta.

Verso le otto mi diressi verso il Princess Hotel, la gente era ancora di più, sui marciapiedi si camminava a fatica e si veniva spintonati spesso. Raggiunsi la mia solita postazione, mi sedetti, tirai fuori il capellino rosso che misi di fronte a me e a cappella cominciai a intonare le prime note di "New York New York" che cantavo spesso.
Certa gente, soprattutto ragazzi o gruppi stranieri si fermavano ad ascoltarmi, i bambini mi sorridevano, le vecchiette facevano cadere dei soldi e i residenti del Princess Hotel mi snobbavano.
Quello che più non sopportavo era un riccone con la puzza sotto il naso che per qualche motivo mi odiava, si chiamava Christopher Nell. Aveva preso una camera fissa in quel hotel da 1.500 dollari a notte e ogni volta che mi vedeva, mi guardava con fare ripugnante. Aveva tentato un sacco di volte di convincere l'Hotel a farmi spostare, ma al direttore la mia voce piaceva e così continuai a rimanere nel mio solito posto. Al contrario, una persona che adoravo moltissimo di quell'hotel, era una simpaticissima ottantenne, Linda Chap. Tutte le volte che usciva, prima di salire sulla sua lussuosissima macchina, si fermava ad ascoltare una mia canzone lasciandomi una cospicua mancia, molte volte mi aveva invitato a cena per farmi conoscere suo marito, ma io avevo sempre rifiutato, non mi sentivo idoneo a quello stile di vita, Billy era totalmente di un'altra pasta, lontano dai soldi, dall'eleganza e dal lusso.

Continuai a cantare per tutto il giorno fino alle 20.00, la gola mi bruciava e il mio cappellino non era poi cosí pensante.
Mi inmminai verso un bar abbastanza vuoto, ordinai una coca e un hot dog e mi sedetti nel posto piu infondo di tutti, tirai fuori i soldi guadagnati e cominciai a contarli
1$ da quella mamma con il pancione
2$ dal ragazzo e i suoi amici
2$ dalla bambina con i codini
1$ dall'uomo in carne
2$ dal valletto dell'hotel
7$ in totale dati dai vari passanti
1$ dall'uomo in giacca e cravatta
In tutto facevano 16$, potevo ritenermi fortunato come guadagno giornaliero, finito il tutto pagai e scii dal bar ritrovandomi sotto una gran pioggia.
La mia unica alternativa era fare una grande corsa per 4 isolati sperando che il dormitorio non fosse già chiuso o al completo.
La pioggia mi cadeva scrosciante sul viso, in testa e sulle gambe, i miei piedi stavano volando tanto che andavo veloce. Cominciavo ad avere freddo e i capelli fradici mi cadevano sugli occhi offuscandomi la vista.
Raggiunsi il dormitorio

"Mi dispiace non ci sono piu posti" disse il signore all'ingresso

"Vi prego, con la pioggia non so dove andare"

"Gliel'ho detto non c'e piu spazio"

"Vi scongiuro..." dissi battendo i denti

"D'accordo, entri, però a meno che non si sia liberata qualche stanza dovrà dormire in corridoio"

"Va bene ugualmente grazie"

Tutti i dormitori per i poveri erano luoghi squallidi, i muri che cadevano a pezzi, topi e insetti ovunque, lenzuola sporche o con buchi delle sigarette, un sacco di gente in una sola stanza, letti appiccicati ad altri e sgradevoli odori.
Girai per un po in tutte le stanze in cerca di una branda, ma era tutto occupato, anche i corridoi erano affollati da gente straiata sul cemento con bambini in braccio o donne in cinta.
Ad un certo punto vedi una porta socchiusa in fondo ad corridoio così mi ci avvicinai, era uno sgabuzzino abbastanza stretto ma immezzo alle cianfrusaglie trovai un materasso malconcio e una coperta rintoppata. Mi spogliai togliendomi i vestiti bagnati e mi asciugai il corpo con la coperta, poi mi straiai sul materasso, mi avvolsi il mio caro telo di lana che tenevo nello zaino e da esso estrassi anche un foglio stropicciato. Sopra c'era scritta la mia poesia preferita, la rileggevo ogni notte e spesso poi mi mettevo a piangere. Cominciai a leggere nella mia voce le prime strofe già sentendo la forte malinconia e dolore che leggerla mi provocava.

Mika beautiful impossibility❤Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora