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A casa di Edoardo

Louis è seduto sul suo solito scalino, come sempre, ma senza libro in mano.
Finalmente lunedì è arrivato e avrebbe rivisto Harry; o almeno è questo che ha pensato fino a mezz'ora fa, quando l'orologio ha segnato le tre e il riccio non era ancora arrivato.

Non sa se andarsene a piangere sul suo letto a casa, o restare al centro come faceva prima che tutta la faccenda con il più grande iniziasse, facendo finta di niente.

Valuta le due possibilità, ma prima che possa scegliere definitivamente, un corpo che conosce bene gli si preme contro e due braccia forti lo avvolgono dolcemente.
- Scusa per il ritardo - ed eccola la voce del riccio che vibra nel suo orecchio.
- Pensavo non venissi più - pigola il liscio immobile.
- Ho avuto problemi a casa - si giustifica l'altro, voltandolo.
- Del tipo? - continua il più piccolo, leggermente arrabbiato.
- Del tipo che non posso parlartene - risponde con più astio di quanto vorrebbe e il volto triste del compagno lo fa sentire in colpa - Però posso mostrartelo - gli propone dolce.

Louis gli sorride più tranquillo, annuendo in assenso e finalmente si scambiano il loro consueto bacio di saluto.

Sprecano ancora qualche minuto al centro, per recuperare il borsone lasciato lì la settimana prima, per prendere il solito treno che li avrebbe portati nella loro città.


Il liscio segue Harry circospetto, meravigliato che in una "piccola" città come è la loro, non abbiano ancora incontrato qualche loro conoscente, come se fossero tutti spariti per concedere loro la possibilità di tenersi teneramente per mano.

Capisce poi di essere arrivato a destinazione quando Harry si ferma davanti a una villetta, dove una donna mora sta facendo avanti e indietro sul vialetto, trasportando scatoloni fuori di casa.

- Mamma - la chiama il riccio e la donna si volta sorridendo.
- Oh tesoro! - lo saluta lei, abbracciandolo - Sei già a casa? - domanda sorpresa - E il tuo amico non me lo presenti? - continua maliziosa.

- Louis il mio compagno di classe, mia mamma Anne - le spiega con tono allusivo.

La mamma di Harry sorride felice, ma Louis non fa caso a quella complicità, concentrato solo sulla frase del compagno, "Neanche un amico sono" pensa infastidito.

I tre entrano in casa e Anne li fa accomodare al tavolo in cucina, posando un succo di frutta davanti a loro.

Poco dopo, una quarta persona entra nella stanza: è la copia sputata della mamma del castano, stessi capelli neri e occhi neri, ma più alto e notevolmente muscoloso, da come si può intravedere dall'assenza di maglietta.
- Mamma questo è l'ultimo - esclama infatti, riferendosi allo scatolone che ha tra le mani, confermando la sua tesi.

Non si aspetta però che il più grande, forse sui venti-cinque anni, s'irrigidisca di colpo, dopo aver posato lo sguardo su di lui, sbiancando e facendo cadere la scatola che ha tra le mani.

In quel momento, Louis nota il tatuaggio che ricopre la spalla e il pettorale sinistro del moro, prima nascosto dallo scatolone e lo riconosce.

Stan, ecco il suo nome e dalla sua reazione, anche lui deve averlo riconosciuto, non che sia difficile dimenticare il ragazzo che si è quasi violentato e che poi ti ha minacciato di denuncia se ti avesse rivisto.

Il liscio lo fissa immobile, ricordando quella sera di due anni prima, quando insieme a Ele, Sophi e Ale che stavano insieme da qualche mese, avevano preso l'abitudine di andare in quella discoteca LGBT poco lontano dalla loro città.

Era in bagno, e rispetta a ciò che dicessero le leggende, era un posto tranquillo, ma quella sera, ebbe il tempo di memorizzare il disegno di quel tatuaggio prima di ritrovarsi schiacciato contro a una parete, con i pantaloni e i boxer a metà coscia.

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