Capitolo XXIX (R)

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Ciò che vidi oltre la boscaglia fu ben più impressionante degli alberi sradicati: due concorrenti, al lato di una distesa di terreno glabro, erano immersi nella fanghiglia fino alle ginocchia. Tentavano di lanciare una cima verso l'interno della spianata di terriccio, ma questa non era abbastanza lunga da raggiungere quella che sembrava una... persona. Il terzo membro del loro gruppo era immerso nel composto acquoso fino alle spalle e gridava con tutto il fiato che aveva. Era suo il disperato richiamo d'aiuto. Quella massa scura che lo stava lentamente inghiottendo era il fiume di cui Shawn ci aveva parlato. Una trappola di fango, acqua e D.A.N.N.I. che stava per seppellirlo. In vista, neppure un militare.

Prima di riuscire a ragionare mi ero già avvicinata per dar loro una mano, affondando nella melma. C'era uno stacco netto tra il confine della foresta e la zona bagnata dal fiume. Tirai un enorme sospiro di sollievo quando riconobbi Josef e il Comandante del suo gruppo, Damian. Almeno, mi dissi, non si tratta di William.

Josef sussultò nel vedermi. «Ehvena!» esclamò. Il volto già stanco e provato dall'angoscia si schiarì, solo per pochi istanti. Il ragazzo intrappolato gridò di nuovo e lui tornò subito a sgrovigliare la cima. «Che ci fai qui? Sei da sola?» indagò, senza smettere di lavorare.

Damian continuava a lanciare l'estremità a vuoto rendendo difficile il lavoro a Josef.

«Vi aiuto» dissi, frugando nello zaino. Estrassi il mio trancio di corda e la passai a Josef per annodarla alle loro. Appena Damian se ne accorse gliela strappò di mano, furioso.

«Fatti gli affari tuoi!» sbraitò, gettandola a terra.

«Ehvena!» sentii chiamare.

Shawn ed Esral varcarono il confine della foresta correndo. Ero certa che avessero continuato a camminare verso il bunker, ignorandomi. Ma come potevano? Dal mio tesserino dipendeva l'esito della loro prova.

«Che combini!?» mi ammonì Pel-Di-Carota buttandosi nel terriccio, quasi gli importasse davvero di me.

Raccolsi la corda incrostata di fango, annodandola io stessa alle loro. «Li aiuto» dichiarai. Bastò un urlo del ragazzo e qualche occhiata ai loro scarponi inabissati nel terreno, perché capissero cosa stava accadendo.

Damian era contrario. «Non ci serve il tuo aiuto!»

Feci finta di non averlo sentito. Con l'aiuto di Josef assicurai la corda, sperando che bastasse. Shawn mi afferrò per un braccio, sussurrandomi all'orecchio. «Andiamocene. Verranno i militari ad aiutarli».

Con uno scossone mi liberai della presa. «Fai due calcoli, O'belion, visto che ti viene tanto bene. Credi che resisterà fino all'arrivo fortuito dei militari?» digrignai tra i denti.

Nell'istante in cui aveva capito cosa stava succedendo, Shawn doveva anche aver compreso la gravità della situazione. Le probabilità non erano a favore di quel poveretto, e per diretta esperienza sapevo che i soccorsi avrebbero aspettato di vederlo immerso nella fanghiglia fino alle orecchie prima di aiutarlo. Ammesso che qualcuno passasse davvero di lì. La maggior parte dei militari doveva aver seguito la calca verso il primo bunker.

Era proprio quella la cosa che più di tutte mi fece infuriare: pur sapendo cosa stava accadendo, Shawn avrebbe voltato loro le spalle. Forse lui era cambiato abbastanza da riuscire a sopportare il peso delle sue azioni, ma io non ero così forte. I miei pensieri erano fin troppo affollati, non potevo permettermi di aggiungere le grida di aiuto di quel ragazzo al coro nella mia testa. Durante il colloquio avevo espresso le mie idee ad Abeltiji, ed era ora che le mettessi anche in pratica. Volevo che quell'uomo capisse come un vero concorrente doveva comportarsi. Di certo non potevano buttarmi nel penitenziario per aver aiutato qualcuno, non dopo averci dato carta bianca per cinque giorni.

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