Capitolo 21: La scoperta

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Il giorno che Robert ha preso la parola, è stato uno dei giorni più difficili che ho trascorso in clinica. Christian, come di sua consuetudine, aveva chiesto se qualcuno voleva parlare, all'inizio della seduta, e Robert si era alzato in piedi. Cercava di mantenere la sua solita freddezza, e di non farsi travolgere dalle emozioni.

Ma sentivo di conoscerlo meglio, da quando si era aperto con me, e riuscivo a capire dai suoi gesti e dall'espressione dei suoi occhi, che era terrorizzato.

Christian gli aveva chiesto cosa volesse condividere con tutti.

"Voglio fare ammenda con tre persone. La prima è Britney, la seconda sei tu Christian e la terza è me stesso. Devo chiedere scusa per aver saputo che Chaz provava a spacciare della roba e per non averlo denunciato. Mi dispiace, davvero. Ora che ve lo sto dicendo, ad alta volce, è diverso da come me lo ero immaginato. È molto peggio. Diventa ancora più meschino, se possibile". Robert aveva preso fiato, guardandosi intorno per sondare le reazioni degli altri. Non erano sguardi comprensivi, bensì inquisitori e diffidenti.

Quando si era voltato a guardarmi, gli avevo rivolto un sorriso di incoraggiamento, sperando che non si interrompesse. Che non considerasse tutti quegli sguardi ipocriti. Nessuno di noi, o quanto meno la maggior parte di noi, si sarebbe comportata diversamente.

Christian, si era ripreso dopo un attimo di sconcerto, e riprendendo le redini che il suo posto gli impone di tenere, si era schiarito la voce. "Robert, sono contento che tu ce lo abbia detto, anche se hai aspettato tanto a farlo. So come sei abituato a ragionare, per cui voglio considerare l'episodio da un angolazione positiva.È un segno di maturazione, e di affetto nei confronti di nuove persone, è un buon passo avanti". Gli aveva sorriso comprensivo e con grande affetto.

Robert, però continuava ad essere sempre a disagio. Ciondolava da un piede all'altro ma non riprendeva posto.

"Vuoi dire qualcos'altro?". Gli aveva chiesto Christian un po' dubbioso.

"Si... penso di voler raccontare come mai sono arrivato qui". Aveva preso una pausa che mi era sembrata lunga una vita, facendomi rendere conto di essergli affezionata. Pativo a vederlo così, spaventato ed esposto, ma mi sentivo molto orgogliosa del passo che stava facendo. Era una cosa molto importante. Una dimostrazione di profondo cambiamento.

Poi, raddrizzando un po' la schiena, aveva cominciato a parlare, abbandonandosi ad un fiume di parole: "Io e mio fratello eravamo molto legati. Eravamo come due guerrieri in battaglia. Stavamo combattendo la nostra famiglia, insieme. Sopravvivevamo a quell'ambiente asciutto, anafettivo e sterile. Ce la cavavamo solo perchè ci proteggevamo e spalleggiavamo a vicenda. Ma quando io ho compiuto quattordici anni, piombando nell'adolescenza, lui ne aveva solo dieci. Io, iniziavo a ritenere inadeguata la sua compagnia. Era ancora troppo bambino per cambiare la sua visione delle cose e capire la mia. Iniziavo a venire vessato da responsabilità e doveri. Avevo il futuro davanti a me, già scritto. Servito su un piatto d'argento. Era così da generazioni e sarebbe stato così anche per me. Ma io amavo la matematica, volevo studiare quello e lavorare nella robotica. Era il mio sogno. I miei genitori mi avrebbe permesso di studiare matematica, ma poi avrei dovuto fare quello che andava fatto. Prendere il posto di mio padre".

Dopo aver preso un respiro, aveva continuato. "Con il compimento dei quattordici anni, avevo avuto accesso ad un conto corrente cospicuo, quello che adesso non guadagnerei in dieci vite. Avevo degli amici, conosciuti a scuola, ricchi e viziati. Quando uscivo di casa, stanco delle solite dinamiche a me intollerabili, li raggiungevo nei locali, che già da così giovani ci spronavano a frequentare. Ho iniziato con l'erba. Di lì a poco sono passato alla cocaina. E quella è stata la mia rovina. Quando non ero fatto, pensavo a farmi. Non ce la potevo fare senza, non potevo sopportare più nulla. Nel silenzio ero assillato dai numeri che mi riempivano i pensieri costantemente, in compagnia dei miei genitori mi sentivo soffocare, sempre inadeguato. Allora uscivo, e facevo l'unica cosa che placava ogni mio pensiero". Si stava agitando al ricordo, scuoteva la testa, come se fosse tornato a quei momenti, lontano da questa stanza e da noi.

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