Raven
"Che giornata di merda."
Wick mi lancia un'occhiata di traverso dall'altro lato del tavolo, mentre si sta rimettendo la camicia nei pantaloni. "Sono andato così male?"
"Cosa? No, non stavo parlando di te," fisso il buco su di una delle mie magliette preferite, dev'essere rimasta impigliata in qualcosa mentre me la toglievo. Ci entra perfettamente l'indice, e ripararla con ago e filo è inutile. È praticamente al centro del petto, si vedrebbe benissimo.
Wick finge di guardare un orologio invisibile sul polso mentre mi raggiunge dalla mia parte. "Cinque secondi e già stai pensando ad altro? Sono offeso."
"Come ti pare," lancio la maglietta sul tavolo da lavoro e ci appoggio sopra le mani, è ancora tiepido, impregnato del nostro calore. "Oggi mi è caduta una fialetta, ora questo... è una giornata di merda."
Mi cinge con le braccia da dietro. "Spero di essere riuscito ad allietartela almeno un po'."
Lo fulmino con lo sguardo, ma la mia testa si muove da sola e gli si poggia sulla spalla. È calda, è comoda.
"Guarda che interessa anche te. È il progetto per cui tecnicamente dovresti lavorare anche tu, se non fossi troppo impegnato a mettermi le mani addosso."
La presa sui miei fianchi si fa più salda. "È la prima volta che ti sento lamentare delle mie mani."
Abbasso lo sguardo sulle dita – che sono intrecciate alle mie, quando è successo? – e, in effetti, sono un paio di mesi che mi hanno affibbiato Wick al laboratorio e non mi ha dato mai modo di lamentarmi.
Certo, i primi tempi era un dito nel culo impossibile. Un ingegnere, mi hanno assegnato un ingegnere, capito? È tipo... l'insulto peggiore da fare ad un fisico. Piuttosto la morte.
Era insostenibile cercare di parlare con lui, non c'era conversazione in cui non arrivassi ad un passo dal mettergli le mani addosso.
Finché non l'ha fatto lui, e non come avevo pensato io. Decisamente non come avevo pensato io.
"Sì, beh... hai capito cosa voglio dire. Università, crediti, ricordi?"
"Impossibile da dimenticare. Grazie a questo progetto ho passato i due mesi più belli della mia vita."
E in un attimo, con due frasi, deve rovinare tutto.
Mi stacco dal tavolo e da lui, sistemandomi la coda per avere qualcosa da fare con le mani.
Non mi fermo a registrare la sua espressione, perché ho paura di quello che potrei leggerci sopra, e mi rinfilo la maglietta. Non voglio che si attacchi a me. Non è quello che cerco, e non ho più intenzione di continuare a ricordarglielo.
Comincio a prendere dei pezzi a caso che abbiamo spostato o fatto cadere a terra, e rimetterli a posto. Sento arrivare il silenzio a quel punto in cui qualcuno deve romperlo per dire qualcosa.
Mi volto a guardarlo. "Devo vedermi con Clarke."
Alza le mani, le spalle, ed annuisce. Forse una punta di delusione? Un motivo in più per muovermi a raccogliere la borsa e le mie cose. Mi fermo a lanciargli un'occhiata dalla soglia.
"Non fare cadere nulla," gli indico le fialette nel minifrigo sull'altro tavolo, quello off-limits, pieno di cose importanti. Torna a sorridere, ed è una cosa minuscola che posso fare per lui, ma almeno questa posso farla. "E ricordati di chiudere." Annuisce di nuovo.
Sparisco con un 'a domani', che è la promessa di altro sesso che ormai non posso più negare a me stessa di aspettare con trepidazione.
**
Clarke mi aspetta al tavolino di legno piazzato fuori dallo Starbucks del campus.
La sua sedia scricchiola quando si alza per salutarmi con un abbraccio veloce.
Ha già una tazza di caffè tra le dita, e sembra... scombussolata. Il cappotto blu non è tutto abbottonato, la sciarpa bianca e nera intorno al collo come se la fosse tirata semplicemente addosso invece di annodarla, i capelli acconciati in una coda disordinata. La perfetta Theta Beta non è per niente perfetta, stamani.
Mi siedo di fronte a lei, più preoccupata del suo stato che dalla necessità di ordinare il mio caffè.
"Stai da schifo."
Clarke sta sorseggiando il suo macchiato e sembra risintonizzarsi con me solo adesso, come se ogni azione compiuta finora l'avesse fatta senza prestare veramente attenzione.
"Uh? Non ho dormito."
Appoggia la tazza e si asciuga il mento con la manica. Ecco, questo – e il fatto che sono qui da due minuti e ancora non abbia commentato il buco sulla mia maglietta – fa alzare il livello di preoccupazione oltre il normale consentito.
"E qualcosa mi dice che non è per l'esame di domani?"
Scuote la testa, anche se si sistema meccanicamente una ciocca dietro l'orecchio, come se il pensiero dell'università le abbia risvegliato quella parte del suo inconscio che appartiene alle confraternite.
"No, è per tutto questo casino con le matricole..."
Lo stomaco mi si contrae un po' per il senso di colpa. Avrei dovuto aiutarla, e ho continuato a dirmi che se avesse voluto il mio aiuto in quelle ronde mi avrebbe chiamato quando ne avessero fatta una, ma la verità è che ho semplicemente ignorato la cosa, troppo presa a pensare al mio laboratorio, a Wick...
Un motivo in più che mi rassicura di aver preso la decisione giusta a voler mantenere le distanze.
Una persona non può farti abbandonare la tua migliore amica nel momento del bisogno. È una pazzia, non sono mai stata quel tipo di ragazza, di essere umano.
Vorrei dire qualcosa, ma ogni scusa che mi venga in mente è vuota e priva di sostanza.
"Scusami," butto lì all'improvviso. Ho la strana capacità di decidere di non fare una determinata cosa e poi qualcosa più forte in me prende la decisione opposta. "Sono stata un'amica di merda, a lasciarti affrontare tutto questo da sola."
"Cosa?", Clarke sembra sorpresa, e mi sento ancora più in colpa. Conoscendola, non l'ha vista come una pecca da parte mia; come minimo non mi ha chiamata per qualche motivo a me sconosciuto. "No, di cosa stai parlando? Non ti ho più detto nulla io. Pensavo avessi già abbastanza da fare con i tuoi progetti eccetera, per passare delle notti in bianco per questo. E poi, non sono sola."
Come volevasi dimostrare. Non ho mai conosciuto nessuno che si dia così completamente agli altri senza un ritorno personale come fa lei. È una cosa dolcissima e snervante allo stesso momento.
Mi sembra le si siano arrossate leggermente le guance, ma forse è solo il calore che sale dalla tazza? A proposito, segnalo una matricola mingherlina che lavora lì di portarmi il mio cappuccino. Comunque, decido di indagare.
"Non sei da sola, nel senso che Bellamy ti sta facendo buona compagnia?"
Annuisce, e deve notare il mio sorriso a tutta bocca perché si affretta a continuare.
"Cioè, mi sta aiutando in questa questione. Non mi sta facendo 'buona compagnia', okay?", mima le virgolette con le dita in aria. Le viene un gesto un po' goffo, con la tazzona dello Starbucks in mano.
"Mh, è un peccato. Bellamy è un bel pezzo di manzo. Scommetto anche che ci sa fare. Avrà avuto molte ragazze uno così, no?"
"Oh, Dio, Raven. Delle ragazze che sono state assalite, ed è di questo che vuoi parlare?"
"Scusa, hai ragione," ridacchio. "Mi faccio distrarre facilmente dai bei ragazzi, a differenza tua."
"Ho notato," bofonchia dietro il bicchiere.
"Come? Cos'era questo commento acido passivo-aggressivo? Puoi ripetere?", sto continuando a sorridere, perché anche quando fa così, non riesce a non essere adorabile, tutta sulla difensiva.
Sospira. "Scusa, come ti ho detto, non ho dormito. Sono un po' irritabile."
"Non c'è problema, principessa. Allora," incrocio le braccia. "Ci sono novità nel caso? Aggiornami."
Il ragazzo mingherlino arriva con la mia dose di caffeina mentre Clarke ha già cominciato a raccontare, e sono grata di aver qualcosa tra le mani che mi imponga di non cominciare a menare ogni essere di genere maschile che ci passi accanto.
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UARK
FanfictionUARK, University of Arkansas, detta più comunemente l'Arca. Clarke sta studiando per diventare medico, è parte importante della confraternita delle Theta Beta nonché figlia dell'illustrissima ex-alunna Abby Griffin, ora chirurga di fama nazionale. A...